Al primo impatto ti immagini di avere a che fare con la canzone omonima cantata da Janis Joplin oppure con la colonna sonora di “Cry Baby”, il noto film di John Waters , mentre il titolo del disco potrebbe avere a che fare con il “remake” di “Undercover Of The Night” dei Rolling Stones, senza l’articolo determinativo.
No, niente da fare: nessuna di queste cose, anche se in parte c’entrano anche loro. Cry Baby infatti è soltanto il nome di un gruppo, ma un gruppo incredibile composto da musicisti polifunzionali, da professionisti impeccabili come Sabina Meyer, al basso e alla voce, come Alberto Popolla, al clarinetto, alla chitarra e al basso e come Ferdinando Faraò, alla batteria. “Under Cover Of Night” invece è il titolo di un album, non di una canzone, e gli Stones c’entrano molto alla lontana. Sì, perché ci troviamo all’ascolto di un album elettroacustico, un disco eccezionale, del quale il rock è senz’altro una componente, ma non è di certo l’unica. Quelli dei Cry Baby infatti hanno sposato un’idea musicale complessa, ma molto raffinata e decisamente suggestiva.
Un’operazione difficile, dai toni crepuscolari, un disco che non appartiene ai giorni nostri, che si distacca, che vola alto, non soltanto sopra le banalità della musica commerciale, ma anche sopra la distinzione fra generi musicali. La voce di Sabina Meyer, soprano e compositrice svizzera di indubbio valore, scava in profondità, crea meraviglia oppure atterrisce. Non esistono mezze misure. Brani come “Run”, “Come”, “Winter”, “Stay”, “Rock”, “Catholic Architecture”, “Sun” e “Black Is The Colour” creano meraviglia e stupore in chi ascolta, perché al loro interno c’è veramente di tutto.
Tantissimi ingredienti e molto ben amalgamati fra loro. Ci sono elementi di derivazione jazz accanto a costruzioni armoniche tipiche della musica contemporanea, c’è il rock sperimentale, ci sono arpeggi tratti dalla musica antica, elementi di elettronica e ci sono accenni di musica psichedelica. Tutto nel segno di quella che il chitarrista Derek Bailey ha definito “improvvisazione non idiomatica”, perché trascende stili, generi e linguaggi per dare vita a qualcosa di unico e inimitabile.
Hanno collaborato con i Cry Baby alla realizzazione di questo disco, a dir poco sorprendente, il flautista Eugenio Colombo e il chitarrista Gio Mancini. Ponetevi all’ascolto dell’album con la mente libera e predisposta, ne resterete incantati.
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