I Love You But I’ve Chosen Darkness. Forse il nome più bello ed evocativo che possa avere una band. Un nome che già preannuncia qualcosa di grande, e si configura come cifra stilistica delle canzoni. Racchiude amore, morte, malinconia, decadenza, buio – elementi che costituiscono il leit motiv delle canzoni. L’album di esordio del quintetto texano ,“Fear Is On Our Side”, non è di impatto sconvolgente al primo ascolto. Ma dopo un po’ di volte si sedimenta nell’anima e allora ci si lascia irretire dal suo magnetismo non immediato e splendidamente noir. La prima canzone è “The Ghost”, scandita dalle percussioni continue, che accompagnano il ritornello “I think about how I miss you”; parole e melodia che fanno a gara in semplicità e cupa malinconia. Segue la bellissima “According To Plan”, ed eccoli, LORO, i leggendari e sempre imitati Joy Division, redivivi nell’incipit che richiama la celeberrima “Isolation”; ma se Interpol e She Wants Revenge citano il gruppo di Ian Curtis sia nel modo di cantare che nei ritmi e le sonorità, e in maniera più che sfacciata (senza nulla togliere alla bellezza del risultato finale) gli I Love You But I’ve Chosen Darkness ne seguono le orme in modo più interiore e celato, come se ci fosse stato un imprinting che poi non ne ha impedito uno sviluppo in una direzione più indipendente. Tuttavia… l’imprinting c’è. Il cantante esibisce una voce meno cupa e più soft di quelle “curtisiane” di Paul Banks (Interpol) e Justin Warfield (She Wants Revenge). Così la voce alleggerisce e addolcisce le canzoni, ; dopo l’inizio ossessivo, la melodia sfocia in un’atmosfera più chiara e aperta, soprattutto nel ritornello. Come in “Lights”, traccia decisamente più melodica, con reminiscenze degli Smiths.. “The Owl”, breve pezzo strumentale, ripiomba invece in un universo dark che echeggia i Cure, e subito si innesta il crescendo irrefrenabile e onirico di “Today”. E si arriva a una delle perle del disco: “We Choose Faces”, gioiello di romantico, doloroso splendore, dove il languore decadente si fa strada tra arrangiamenti in stile Bauhaus e un climax superlativo e trascinante originalissimo, simile a quello di “Today” ma molto più intenso. Nella favolosa “At Last Is All”, si insinua di nuovo il ricordo dei Cure, in particolare l’inizio e la prima parte della canzone richiamano “A Forest”. La track-title strumentale è un breve, efficace preludio (anche nel significato del titolo) all’oscurità finale; le tenebre che serpeggiano per tutto l’album esplodono e sommergono ogni cosa con l’ultimo pezzo “If It Was Me”, il più ossessivo e ipnotico.
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