Quando un gigante come Bruce Springsteen decide di mettere su un disco denso di ispirazioni pop, e decide di farlo all’indomani di un tour mondiale che lo ha portato in giro per quasi un anno fino allo scorso agosto, con una serie di concerti memorabili e tiratissimi durante i quali ha ripescato praticamente tutta la sua produzione, comprese molte gemme rare scritte tra la fine dei ’70 e la prima metà degli ’80, quando il Boss insomma, dicevamo, decide di pubblicare un disco che trovi linfa per una volta non tanto (o non solo) dai muscoli e della grana ruvida e solidissima del suono E Streeters, ma bensì da vecchi umori pop(ular), dai ricordi di certe atmosfere alla Roy Orbison e al wall of sound, beh bisogna quantomeno tendere l’orecchio e stare ad ascoltarlo con attenzione.
Dunque, eccoci qua dopo aver messo alla prova delle nostre sensazioni Working On A Dream, nuovo lavoro di Springsteen, ancora con la E Street Band (per la prima volta dopo 35 anni orfana di Danny Federici), e ancora una volta dopo Magic e The Rising con la produzione di Brendan O' Brien. Diciamo subito che l’attacco è quantomeno spiazzante, perché la traccia di apertura è una corposissima Outlaw Pete (otto minuti di durata) che inizia con un intro di archi molto serrato, un tema magari non originalissimo e molto poco springsteeniano nella strofa (ma lasciamo ai lettori il compito di trovare i riferimenti), e racconta la storia del “fuorilegge Pete”, su un incalzare armonico e melodico che nell’inciso si tinge di reminiscenze morriconiane, con la voce di Bruce che sale, densissima, molto in alto. Insomma, dovevamo trovarci di fronte ad un disco pop e invece ecco una cavalcata chitarristica, rockeggiante, colorata di archi, con tanto di armonica alla “C’era una volta il West” o “Giù la testa”. Bellissimo l’inciso, ma indubbiamente l’effetto “già sentito” incrina un po’ un brano altrimenti notevole. Anche la successiva Lucky Day, già proposta come singolo, è in realtà un pezzo rock, con bassi in evidenza, tirato, reso un po’ più rotondo dalla produzione e da alcuni arrangiamenti, ma che con pochi accordi lascia immaginare una versione live potentissima magari proprio ad aprire i prossimi concerti. Il disco pop che ci aspettavamo, e che lo stesso Bruce aveva preannunciato, inizia subito dopo con traccia numero tre, quella Working On A Dream suonata durante la campagna presidenziale a supporto di Obama. La leggerezza c’è tutta, forse troppa, e si intravede una misura che rimanda evidentemente al già citato pop solare e lucido alla Roy Orbison. Il cantato sottile di uno Springsteen così, rasserenerebbe chiunque, un po’ come il suo fischiettare a metà brano. Si cominciano ad intravedere però certi orpelli nell’arrangiamento, tra cori ed archi, che appesantiscono la linee melodica, piana, regolare, diretta. E’ nelle liriche però che si intuiscono le debolezze maggiori. E se la title track si regge su un quasi ossimoro, di “impegno-(di)speranza”, comunque teneramente lodevole, altri episodi paiono decisamente liricamente meno solidi. Quasi un peccato ad esempio che in Queen Of The Supermarket non ci sia un po’ più di ispirazione drammatica (ma anche ironica andrebbe bene) nel racconto, perché l’andamento della melodia meriterebbe. Anche qui, però un eccessivo dispiegamento di archi e cori e contro-cori toglie un po' della leggerezza che va cercando. Chi si aspettava che come in Magic rimanessero tracce della vena epica di Springsteen (come appunto era stato in Long Way Home, o Last To Die) farà fatica a trovarle, perché a prevalere semmai, per rimanere al disco del 2007, sono certe soluzioni alla Girls In Their Summer Clothes, con costruzioni armoniche ariose, sorrette da veri e propri “muri di suono” alla Phil Spector (altro punto di riferimento nella formazione pop dello Springsteen più giovane): significativa in questo senso, e chiave sia positiva che negativa, la solidissima This Life: melodia killer, hammond sulla spina dorsale, cambi di tonalità improvvisi nel chorus e nel bridge, la voce di Bruce rotondissima, quasi irriconoscibile, forse troppo impostata, ma alla resa dei conti efficacissima. Ancora una volta il testo non rende giustizia alla linea melodica, adagiandosi un po’ troppo su certi quadretti da vita familiare, sull'utilizzo dei cori, e un troppo stringato intervento del sax di Big Man (a dire il vero poco presente in tutto il disco). Il discorso sul “wall of suound”, sull’arrangiamento pop, e su certe debolezze liriche diventa evidente ancor di più su altre due tracce, Kingdom Of Days (melodia decisa e bella, ma ancora dispiegamento eccessivo di archi e cori, per un brano che comunque migliora ad ogni ascolto ulteriore), e soprattutto Surprise Surprise, dove l’arpeggio in odore di Byrds e l’inciso che ricorda positivamente pur con un altro spirito la Time di Tom Waits, faticano a reggere un testo si gioioso, si positivo e spensierato, ma a tratti davvero poco espressivo (“Bene, oggi è il tuo compleanno /Arriviamo da così lontano noi due / Quindi soffiamo le candeline sulla tua torta”), e certi passaggi armonico/melodici da canzone leggera, troppo leggera. Peccato perché in entrambe le tracce, si intravedono momenti davvero efficaci di ispirata vena pop, con una quasi citazione proprio dalla Pretty Woman di Orbison, in uno stacco di archi su Surprise. Tra i momenti più rock, invece una What Love Can Do, che suona però un po’ trattenuta, come se potesse dire di più; una Life Itself a metà tra Magic e Rising, e che vagamente ricorda certe outtakes di The River; un blues con voce e armonica distorte, e sabbia in gola per il Boss, che canta da brivido, dal titolo Good Eye, che riprende ma senza la stessa devastante potenza quella A Night With The Jersey Devil che Bruce aveva regalato ai suoi fan attraverso il suo sito lo scorso Halloween. Accenni bluegrass e country per una Tomorrow Never Knows, soffice e delicata con un solo di violino molto bello, a riscattare l’ennesimo tappeto di archi in lontananza. A chiudere cerchio e album, due gioiellini, degni della migliore vena da folk/writer/singer di Springsteen: The Last Carnival, asciutta, disillusa, da crepuscolo, bella nell’interpretazione sofferta ma misurata della voce, nel lamento in sottofondo che accompagna l’inciso, nella lirica del testo finalmente sostenuta, di livello, e finanche nel coro gospel che chiude il pezzo a sfumare, in un’atmosfera quasi mistica, molto suggestiva. E infine la già conosciuta The Wrestler, scritta per l’omonimo film di Mickey Rourke, e vincitrice del recente Golden Globe come miglior canzone originale. E’ questo maiuscolo affresco folk, teso, amaro ma ancora vivo: “Dimmi amico, puoi chiedere qualcos’altro in più”, che chiude il cerchio riallacciandosi a quel "can you hear me" disperato del "fuorilegge Pete", e ci riporta al cantastorie di Tom Joad e di Devils And Dust, se non proprio a quello di Nebraska.
Dopo i primi ascolti, insomma, si resta sicuramente sorpresi da tanta traboccante vena pop, al di là quasi del giudizio o dell’opinione positiva o negativa. E 15/20 anni fa non avremmo mai pensato che Bruce avrebbe potuto tirare fuori un album del genere, così poco muscoloso, ma da cantare a voce piena, con una gran voce, quasi liberatoria, senza remore e senza timore. Ma alla fine va bene così, anche con una produzione poco rock, dove la E Street Band finisce con emergere solo in parte, come dovrebbe, come saprebbe. D’altronde a uno come lui si può perdonare anche qualche orpello di troppo, glielo si deve, come ad un amico che ci ha dato tanto e ci dà ancora tanto. Prendiamolo così questo disco, con la leggerezza che ci vuole raccontare. Il tempo ci dirà quanto vale Working On A Dream, quanto le sue qualità possano infine vincere remore e conquistare con la loro sfacciata limpida lucidità pop, mostrandosi magari alla fine più solide e geniali di quanto possano apparire in prima battuta. E quanto le sue debolezze possano magari tramutarsi in virtù con il passare degli ascolti o magari sentendone le possibili traduzioni live che ne farà Springsteen con gli E Streeters nel tour che a luglio arriverà in Italia. Come sempre è lì sul palco che il Boss ci mostrerà la vera anima di Working On A Dream.
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