Uscito il 16 novembre scorso, Mogic è la nuova visionaria fatica del quartetto gallese Hen Ogledd, fondato dal duo Richard Dawson-Rhodri Davies e composto da Sally Pilkington e Dawn Bothwell. Si tratta del terzo album per il gruppo, il primo a uscire sotto etichetta Weird World Records/Domino Records.
Con “Love Time Feel” inizia l’epopea musicale dei Hen Ogledd alla ricerca di sonorità tutte da esplorare, partendo proprio da riverberi, sinth psichedelici, e dove trova spazio perfino un corno. Segue “Sky Burial”, un brano che mette in mostra anche la rassicurante voce di Sally Pilkington, riproposta in questo album anche attraverso una serie di timbri vocali decisamente elaborati. Sepolture spaziali, chitarre e sintetizzatori e rendono labile il confine tra magia e logica, Mogic appunto. Chitarra e basso, dettano il ritmo in “Problem Child”, questa volta eseguita da Richard Dawson, altrettanto abile a lasciar trasparire tutta la sua empatia.
Dopo un inizio tutto sommato soft, ecco la prima anomalia, che viene a galla con il brano “Gwae Reged o Hiddiw”: in realtà si faticherebbe a chiamarlo tale considerando che si tratta di un dialogo sussurrato, rigorosamente in gallese, tra un uomo e una bambina, accompagnato da un flebile sottofondo strumentale.
Quasi non si fa in tempo ad abituarsi a voci, strumenti e stili che il quartetto rimescola di nuovo le carte in tavola. Si passa così da alle atmosfere impregnate di futurismo tecnologico di “Dyma Fy Robot”, dove trova terreno l’estro creativo del percussionista Will Guthrie (qui in veste di ospite ma perfettamente a suo agio quando c’è da uscire fuori dagli schemi) a “Tiny Witch Hunter”, un autentico virtuosismo sonoro che ipnotizza gli ascoltatori grazie alla coesione di polifonie che spaziano da una sorta di distopico pop al blues di un sassofono, Pilkington. A proposito di sperimentazioni, vi invitiamo a dare uno sguardo anche al relativo video.
E rimanendo in tema di canzoni che rinnegano questa stessa accezione, non possiamo che menzionare “Transport & Travel”, un’accozzaglia di suoni alquanto desincronizzati con differenti discorsi inseriti altrettanto a casaccio. Ma in fondo è sperimentazione anche questa, che piaccia o meno. Non è solo il suono a mutare nella sua forma ma anche le parole seguono lo stesso iter, con testi che spesso accolgono al loro interno o insieme di voci sconnesse, fuori dal mondo, ma non per questi privi di una logica tutta loro.
È il misticismo di “Etheldreda”, un canto quasi corale dedicato alla figura della regina anglosassone di Northumbria, venerata poi come santa nella sfera cattolica, a far calare il sipario, bruscamente, su quello che potremmo definire un album che si ama o si odia, che non conosce mezze misure.
Compito arduo trovare un filo conduttore che accomuni i dieci brani, se non per la grande voglia di sperimentare varie tipologie di suoni presenti in essi, partendo sempre da una base ben definita che trova appigli tanto nell’indie pop che in quello rock. In questo album figurano magia e logica: non a caso l’astrattismo di Mogic unisce due termini come magic e logic, laddove razionalmente uno esclude l’altro.
Chiaramente non si tratta di un album di facile fruizione, e potrebbe richiedere anche diversi ascolti prima di riuscire ad apprezzare le mille sfaccettature costruite dagli Hen Ogledd. Coloro affascinati dalle sperimentazioni musicali troveranno in questo disco tanti motivi per amarlo, tutti gli altri faranno bene a porre le loro attenzioni altrove, su suoni e testi decisamente più familiari
Articolo del
05/12/2018 -
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