Il solito discorso che la musica italiana non fa schifo e che spesso, vuoi per ignoranza, vuoi per deficienza, ci sottovalutiamo, lo avrete ormai praticamente fradicio in testa, lo so. Ed infatti spero di non tornarci più, anche perché vorrei mantenere un po’ di originalità.
Quindi discorso chiuso, anche se so perfettamente che qualche scettico ci sarà comunque. Bene, il racconto di questo album è per chi ancora non è convinto della bontà di certa nostra musica. Anche perché Zucchero non devo sicuramente presentarvelo io: stiamo parlando di uno degli artisti italiani più noti all’estero, che vanta collaborazioni con Eric Clapton, Sting, B.B. King, Beck, Miles Davis, Joe Cocker e potrei continuare ancora per un po’.
Come vedete, fortunatamente, a rappresentare la musica italiana nel mondo non è solo Il Volo. Ribadisco e sottolineo il “fortunatamente”.
Anche Zucchero, come Capossela, Fabi, Silvestri, rispetta la “regola dei tre anni” ed, a distanza di tre anni, appunto, da “Black Cat”, suo ultimo album di inediti, pubblica “D.O.C.”. Undici tracce più tre bonus track compongono questo album, nel quale si possono facilmente rintracciare gli stilemi tipici della poetica di Zucchero, sia musicalmente che a livello di testi.
L’artista emiliano tira fuori un album con forti venature blues e soul, che incontrano la modernità musicale odierna con una massiccia presenza di elementi elettronici, senza dimenticare gli interventi di archi e fiati, ad impreziosire definitivamente un lavoro che, per ricercatezza e modernità è una oasi di salvezza in un maremagno di Alberti Ursi.
Il disco si apre con “Spirito nel buio” ed il suo notevole tappeto elettronico, montato su una linea vocale “da Zucchero”. Anche in “Soul Mama” Zucchero non si snatura affatto ed affresca di blues la base elettronica del pezzo, che, fra le altre cose, presenta anche una gran bella linea di basso.
“Cose che già sai” incontra la voce di Frida Sundemo, artista svedese, che aggiunge un tocco di delicatezza ad un pezzo molto intimo, accompagnato quasi totalmente dal pianoforte. “Testa o croce” è un gran blues, di quelli puri e densi, con un organo contaminato da spruzzate di elettronica.
In “Freedom” meritano una menzione speciale gli interventi dei fiati nell’inciso e del dobro, oltre che la ritmica in levare della tastiera farfisa, sulla quale poggia tutta la canzone. Altro pezzo che merita menzione è “Vittime del cool”, che ci regala un riff blueseggiante da incorniciare.
“Sarebbe questo il mondo” e “La canzone che se ne va” sono due ballate molto intense, quasi interamente accompagnate al pianoforte, rese ancora più delicate ed, al contempo, “imponenti” dagli interventi degli archi, discorso analogo anche per “Nella tempesta”. “Badaboom” è un tipico pezzo di Zucchero, potente e ritmato, nel quale risalta il solo di armonica sul finire del pezzo.
La quota “ballata semiacustica” del disco è occupata da “Tempo al tempo”, pezzo suonato con la chitarra acustica e con incursioni di piano, archi e dobro, oltre che ad un pizzico di elettronica nell’inciso. Chiudono il disco le tre bonus track, “My Freedom”, “Someday” e “Don’t let it be gone”, versioni inglesi rispettivamente di “Freedom”, “Vittime del cool” e “Cose che già sai”, cantata insieme a Frida Sundemo anche nella versione inglese.
Vocalmente, Zucchero è in grande spolvero, e non manca di mettere in risalto il suo inimitabile graffiato, dimostrando tuttavia anche una ottima estensione vocale, in linea con la sua natura da soulman.
Oltre ad essere un album musicalmente fresco, è, come nella migliore tradizione di Zucchero, anche scritto benissimo a livello testuale. D’altro canto, quando collabori con Davide Van De Sfroos (“Testa o croce”), Rag’n’ Bone Man (“Freedom”), Pasquale Panella (“La canzone che se ne va”) e Francesco De Gregori (“Tempo al tempo”) sicuramente non vengono fuori cose banali. Anche i testi, come le musiche, sono multiformi, variopinti nel loro oscillare fra l’italiano e l’inglese. Ed, ancora una volta, parimenti alle musiche, sono quanto mai attuali, ma anche pieni di sfaccettature nostalgiche ed, addirittura, spirituali.
In conclusione, credo che i motivi del perché “D.O.C.” sia un disco pieno di speranza siano tutti lì dentro: è un disco fresco, contemporaneo, libero e liberatorio. In una parola, fondamentale.
Voto all’album: 9+. Pezzo preferito: “Testa o croce”. Adoro follemente il blues, sbavo ogni volta che sento un qualsiasi organo. Ditemi voi cosa avrei potuto scegliere in alternativa
Articolo del
15/11/2019 -
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