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La mossa di Bono
19/02/2017 21.38.49
L'amichevole chiacchierata di Bono con il vicepresidente Mike Pence alla Conferenza per la Sicurezza di Monaco non è passata inosservata. Il cantante degli U2 non è nuovo a queste comparsate al “tavolo dei grandi” e da molti anni sostiene, insieme a Bob Geldoff, un dialogo costante con i potenti del mondo sulle questioni umanitarie. Tra le altre cose, in occasione dell’incontro a Monaco, Bono ha ringraziato Pence per il suo passato impegno in relazione alla lotta contro l'AIDS in Africa. Prossimamente nell'agenda di Bono: una colazione di lavoro con il Presidente Donald Trump.
Come la vogliamo mettere? Qual è la strategia che ha in mente l’ambasciatore Bono con il nuovo gruppo di potere che si è insediato a Washington? Quali sono effettivamente i progetti che vuole portare avanti? Bisogna trattare con il demone Trump o forse è meglio tornare alle barricate? Boh. In questo momento di caos assoluto rappresentato dall’assoluta novità di un Presidente degli Stati Uniti che dice una cosa un giorno e ne fa un’altra quello dopo, forse continuare a “trattare” con i potenti è un’idea molto rischiosa.
Ma il colloquio tra Bono e Pence è frutto di un lavoro avviato precedentemente all’elezione di Trump, per alcune campagne di prevenzione contro l’AIDS in Africa quando Pence era esponente del Partito Repubblicano e ha contribuito a sostenere alcune iniziative.
Bisogna ricordare anche che, negli anni passati, sia Bono che Bob Geldoff non si fecero scrupoli ad incontrare altri esponenti politici avversi al mondo della cultura e della musica (George Bush Jr. e Putin), con l’idea di non interrompere la loro campagna di sensibilizzazione verso le emergenze umanitarie presenti in Africa ed in altri contesti travagliati del mondo.
Quindi, si può "arricciare il naso" di fronte all’immagine del cantante degli U2 che stringe amichevolmente la mano al vicepresidente USA, ma una volta tanto andrebbe riesumato il tanto sputtanato “streaming” per il prossimo pranzo di lavoro tra lui e Donald Trump, almeno per carpire l’espressione del Presidente di fronte alla parola “umanità”.
(Fabrizio Biffi)
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Quel “10” in pagella che cambiò la storia dell’editoria musicale
13/02/2017 0.39.03
Correva l’anno 2002, chi si vuole sforzare può farlo ad immaginare come fossero le nostre abitudini quindici anni fa, ma di certo eravamo più prigionieri dei personal computer di quanto siamo oggi dei nostri smartphone.
L’epoca storica era quella che era, dopo le torri gemelle e dentro le guerre di religione di Bush e co., ma il 2002 è un anno che viene ricordato dall’editoria musicale digitale per il caso “And You Will Know Us By The Trail Of Dead”, un semisconosciuto gruppo americano di alt-rock che sale alle cronache per un dieci in pagella. Detta così suona un po’ ridicola, eppure in quell’epoca ancora era forte il dominio delle riviste musicali tradizionali, al tempo aveva ancora senso andare in edicola a fare incetta di mazzette di giornali nostrani e anche stranieri, perché il web era un po’ rigido e, se vogliamo, non cosi veloce come appare oggi dopo la devastante apparizione dei social network.
E in mezzo alle gerarchie editoriali di inizio terzo millennio, spunta fuori anche una webzine semisconosciuta che macina i primi consensi e butta in rete quanto di più nuovo e di interessante ci sia nell’underground americano.
Pitchfork, che da li a poco tempo sarebbe diventata la bibbia digitale della nuova scena alternativa, il 28 febbraio del 2002 premiò “Source Tags & Codes” dei quasi sconosciuti “…And You Will Know Us By The Trail Of Dead” con un inconfutabile 10.0, il rating massimo possibile, evento che scatenò la curiosità del sempre più numeroso popolo indie, il quale riconobbe l’immenso valore di quello che divenne uno dei dischi di riferimento dell’intera decade.
Fu un caso-scuola che sancì definitivamente l’importanza delle webzine come strumenti oramai irrinunciabili nel marketing musicale del XXI secolo. Era un’epoca in cui i giudizi dei giornalisti musicali avevano ancora un valore quasi incontrovertibile, era un tempo in cui la gerarchia di giudizio era ancora accettata passivamente per il solo fatto di essere certificata dalla credibilità e dall’affidabilità editoriale di testate storiche come Rolling Stone, Mojo, New Musical Express, ecc.
Oggi, il dieci netto in pagella a “Source Tags & Codes” dei quasi sconosciuti “…And You Will Know Us By The Trail Of Dead” sarebbe oggetto di una infinita stringa di commenti a legittimarne o a confutarne il merito da parte dei lettori, dei tifosi e degli appassionati di musica.
Risentendo il disco, a me piace riassaporarlo come quel momento in cui la democrazia delle web-zine ha fatto un passo verso la libertà di dare il massimo dei voti anche a quattro sconosciuti ragazzi del Texas che dividono questo privilegio, su Pitchfork, insieme a Bob Dylan, i Beatles, i Radiohead e pochi altri.
Oggi gli “algoritmi” sono cambiati e il dieci in pagella è il frutto di una complicata combinazione che tiene conto, soprattutto, del giudizio del pubblico (quello virtuale). E, quindi, ognuno ha il suo dieci in pagella preferito, ma quello degli “…And You Will Know Us By The Trail Of Dead” rimane tra i più geniali e rivoluzionari
(Fabrizio Biffi)
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I Radiohead sfidano Roger Waters
09/02/2017 20.20.21
Dopo sedici anni, i Radiohead torneranno a suonare in Israele, il prossimo 19 luglio al Park Hayarkon a Tel Aviv. Dove sta la notizia? In mezzo a questo caos politico internazionale dove tutto si sta rimescolando, la scelta del gruppo di Thom Yorke passa quasi inosservata. Ma il mondo della musica ha ancora i suoi equilibri e, considerata l’influenza dei Radiohead in questo ambito, il loro concerto a Tel Aviv rompe quella specie di boicottaggio artistico che da tempo viene sostenuto da un altro pilastro della musica contemporanea, Roger Waters.
Il bassista dei Pink Floyd , da tempo. invita i suoi colleghi musicisti a boicottare fortemente Israele, accusata di aver utilizzato una politica molto simile a quella sudafricana durante l’occupazione selvaggia dei territori di Gaza e della West Bank. Riferendosi alle azioni israeliane nei territori palestinesi Waters sostiene che “hanno perso ogni controllo. Mi sembra che andare lì e mettersi a suonare il violino per loro non avrebbe questi grandi effetti di sensibilizzazione”.
Se sei un musicista americano o inglese e sostieni il boicottaggio di Israele, rischi di vedere la tua carriera distrutta, sostiene il già bassista e cantante dei Pink Floyd, sostenitore del BDS - il movimento a guida palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele - sin da quando venne fondato, nel 2005.
Il punto è che il fronte musicale si sta sfaldando. Non è più l’epoca in cui i grandi nomi si riunivano compatti per sostenere le grandi battaglie sulla povertà o per sensibilizzare il mondo sui rischi del disastro ecologico.
Roger Waters con il suo approccio ideologico e simbolico rappresenta quel mondo musicale che ancora credeva nella forza del messaggio politico fondato sulla credibilità dei grandi gruppi e musicisti del ventesimo secolo, i Radiohead non sembrano farsi carico di questa responsabilità puntando sul superamento delle barriere politiche e andando comunque a suonare in Israele.
Sono due modi diversi di vedere i muri e di provare ad abbatterli.
(Fabrizio Biffi)
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Quattro album italiani per superare il weekend
31/01/2017 23.57.48
Il 2017 sarà l’anno della svolta per la tanto bistrattata musica italiana. Dall’indie, al rap, al pop da radio, sembra proprio che i cantautori italici abbiano finalmente acquisito una certa consapevolezza artistica. Venerdì pomeriggio. Ci sarebbe del lavoro da fare, dei saldi da scoprire, degli stupidi video trash da condividere e da commentare….e invece no. Un amico ti avvisa dell’uscita di “A casa tutto bene”, il nuovo album di Brunori Sas, ti precipiti ad ascoltarlo e ti rendi conto che la tua giornata è finita lì, nello stesso istante in cui in cui ascolti gli accordi e le parole della prima traccia “La verità“. Come uno sciamano sotto effetto di ayahuaska, Brunori crea atmosfere autentiche, intime e personali che esorcizzano le paure ed esaltano le gioie caduche, di questi anni ’10. L’empatia é un lusso e lo sappiamo bene. L’uomo liquido, Brunori ha fatto il miracolo. A casa tutto bene, il suo ultimo album, é un totem generazionale . De André, Gaetano, Cremonini, Guccini e soprattutto Dario Brunori da Cosenza. Meridionale con la Calabria nel sangue e Milano nel cuore, brillante, ironico, dissacrante. Ascoltando i mostri della post-adolescenza di Dario Brunori mi sono chiesto: Dario ma noi ci conosciamo già per caso? Il mio giovedì faceva così: “I wanna be Amanda Lear, il tempo di un lp, il lato A, il lato B”. C’ho i problemi lo so e me ne sto occupando. Intanto, mi godo il nuovo cd dei Baustelle, L’Amore e la Violenza, e sboccio tra le steppe gelide del mio inconscio. Stai bene così, pelle e ossa sì, crudo, così basso e batteria Ti ha lasciato un figlio, Foster, Wallace, 3 maglioni. Ma tu devi resistere e ballare la musica elettronica nuova del sabato sera. I Baustelle sono tornati ai vecchi fasti e ritraggono gli scenari periferici, suburbani, a volte radical chic, frequentati da barbuti intellettualoidi, universitarie fuori corso in down da sbornia del sabato sera, che stanno ancora cercando un posto nel mondo impantanate nelle consuete crisi esistenziali. La malinconia, quella buona, quella che ti fa vedere la realtà con lucidità, quella che ti permette di odiare tutto ciò che ti circonda per sopravvivere. Acido, pop, immaginifico: L’amore e la violenza, il nuovo album dei Baustelle. Tastierista e fondatore dei Subsonica, Boosta così come Samuel, il cantante della band torinese, si mette in proprio con La Stanza Intelligente, album che dimostra le già assodate doti creative ed eclettiche del producer, attualmente giudice nel talent Amici di Maria De Filippi. Un album dalle sonorità nuove per lo scenario musicale italiano impreziosito da featuring illustri: Enrico Ruggeri, Briga, Malika Ayane, Raf, Giuliano Palma, Diodato, Luca Carboni, Cosmo, Nek e Marco Mengoni. I brani contenuti in questo album sono delle perle di musicalità e di lirica. Basi psichedeliche che si sposano perfettamente con la voce aulica ed eterea di Boosta che si amalgama perfettamente con le caratteristiche vocali dei suoi “ospiti”. Il tema principale sembra essere la crisi di mezza età presa con gioia e curiosità per il futuro. Non mentire lascia spazio a ciò che sei Vivi con discrezione stoicamente e lascia il passo a tutti questi figli in cerca di sole alla luce di una stanza. Deve essere stata una settimana strana se uno come me, che non hai mai rivolto parole di elogio nei confronti di J-Ax, decide di menzionare Comunisti col Rolex, in questa selezione. Ma d’altronde si sa, chi semina muri non raccoglie nulla. Traslando questo approccio alla musica, tutti meritano una chance anche quei murales ambulanti di Fedez e J-Ax, che, gusti personali a parte, con le parole ci sanno fare e con il populismo anche. Comunisti con il Rolex è un album Pophoolista, rivolto a populisti webbettari che si scaglia contro il populismo. Purtroppo o per fortuna, questa raccolta di brani è finita nella mani sbagliate, nelle grinfie di uno come me che ama immergersi nei testi e farci a botte. Che Guevara e Fiedel Castro facevano collezione di motociclette inglesi e di Rolex, Canto Bella Ciao, Bella, Ciao, Ciao, Ciaone! Scritto anche dall’ormai celebre Calcutta, è un album ricco di collaborazioni: Levante, Alessia Cara, Sergio Sylvestre, Loredana Bertè, Arisa, Giusy Ferreri. Comunisti con il Rolex ricorda un po’ le sonorità degli Articolo 31 che furono. E’ un album gigione che si fa ascoltare senza troppe complicazioni. Dategli una chance. Salvini, Instagram, Vacchi, bloggerz, Snapchat, young money, e populismo ironico, queste le keywords! Fan di J-Ax e non: è buon album anche se contiene una featuring con Alessandra Amoroso!
(Salvatore Giannavola - https://blogstermind.wordpress.com/)
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Madrid vs Barcelona
30/11/2016 17.51.04
Il duello infinito, a colpi alti e bassi, tra le due grandi metropoli spagnole, si trasferisce dai banchi dei parlamenti e dalle arene calcistiche, alla ricerca di un primato in campo organizzativo musicale. A pochi giorni dal “clasico” che vedrà di fronte Ronaldo e Messi, viene ufficializzata la line up dello storico Primavera Sound Festival di Barcellona 2017, a pochi giorni dall’uscita del cartellone del Mad Cool Festival di Madrid in programma dal 6 all’8 luglio.
Il Primavera Sound Festival parte con i vantaggi del pronostico per tradizione, fidelizzazione e anche per il contorno di una città destinata per vocazione ad ospitare eventi, se poi ci metti pure il mare il gioco è fatto. Dal 2001, il Primavera è stato sempre in costante crescita, e anche i nomi di punta per il 2017 fanno pensare ad un’abbuffata da dove difficilmente ci si possa riprendere a stretto giro (Arcade Fire, Bon Iver, The XX, Grace Jones, e chi più ne ha letti più ne metta). A Madrid tirerà un’aria più classic rock, che vede come punta di diamante del Festival i Foo Fighters, affiancati da Green Day, Kings of Leon, Alt-J, Rancid e Lumineers. Tutta roba che farà fischiare le orecchie fino alla fine dell’estate.
Nulla vieta ai più infervorati di fare la doppietta. Primavera+Mad Cool significa realizzare un’abbuffata memorabile che mette in pace ogni appassionato di musica per tutto il 2017. Dovendo scegliere si apre una questione tutt’altro che banale. Le due offerte musicali sono molto diverse tra di loro. Però, in fondo, se uno si organizza per tempo, bastano un paio di accrediti. (f.b.)
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Il lungo addio di David Bowie
12/01/2016 15.48.05
Com’è universalmente e tristemente noto, Bowie ci ha lasciati. Sul significato enorme della sua opera per la cultura occidentale degli ultimi 40 anni e la costruzione di un immaginario capace di unire tradizione e modernità in una potente ed evocativa sintesi, tanto hanno già scritto, chi bene, chi meno. È anche balzato agli occhi di tutti, perfino dei detrattori che solo un giorno prima della tragica notizia si chiedevano se “Blackstar” sarebbe stato così degno di attenzione se non si fosse trattato di un disco di Bowie, come questo suo ultimo lavoro fosse un testamento, un addio e soprattutto un modo estremamente potente di affrontare il più grande tabù della cultura occidentale contemporanea, ovvero la morte, negata e rimossa in ogni dove. Il video di “Lazarus”, visto oggi, spaventa. In realtà l’addio di Bowie al mondo è forse iniziato da ben prima di “Blackstar”. Forse già da “The Next Day”. C’è una peculiarità evidentissima che lega gli ultimi due album di Bowie: sono gli unici a non riportare in copertina la sua immagine, che ha sempre riassunto iconicamente, in una prospettiva multimediale, i temi che Bowie affrontava nei suoi lavori. “The Next Day”, come si sa, cancella l’immagine di “Heroes” e perfino il suo titolo: un quadrato bianco si sovrappone al volto di Bowie tanto del 1977 quanto del 2013 (nell’interno copertina). Tre anni dopo, il quadrato si è espanso e al suo centro compare la Blackstar, il buco nero che Bowie è diventato, la morte che lo attende e da cui verrà inghiottito, come lo scheletro di Major Tom nel video proprio di “Blackstar”. Perfino le lettere che compongono il suo nome sono fatte della materia della stella nera, in un nuovo font, chiamato “Virus Deja Vu”, elaborato dal graphic designer Jonathan Barnbrook, che lavora con Bowie fin dal 2002 e che è responsabile anche dell’artwork di “The Next Day” e perfino di “Reality”, in cui, in effetti, l’immagine di Bowie persiste, ma è quella di un manga, sottratto allo scorrere del tempo e fissato in una dimensione eterna.
In realtà, era dal 2008 che si rincorrevano voci di un tumore al fegato, sebbene la famiglia nel suo scarno e doloroso comunicato abbia parlato di una lotta durata 18 mesi. È vero che il cancro al fegato (di cui ha parlato Ivo Van Hove, il regista belga che ha lavorato a “Lazarus”, lo spettacolo di Broadway) si manifesta solo quando è troppo tardi per essere fermato, ma tutti sanno che con l’avanzare dell’età lo sviluppo dei tumori è rallentato: è quindi possibile che fin dal 2013 Bowie stesse inscenando il proprio addio al mondo, come parrebbero confermare le numerose allusioni al proprio passato contenute in “The Next Day”, che, a questo punto, nel bianco accecante che annulla il volto dell’artista, potrebbe aver indicato la morte (il bianco è il colore del lutto in Giappone, Paese alla cui cultura Bowie è sempre stato profondamente legato).
Lungo o meno che sia stato, l’addio di Bowie è stato però straordinariamente coerente con le tematiche del suo lavoro: non solo la “Blackstar” è la trasformazione ultima dello Starman Ziggy Stardust, ma la meditazione filosofica e religiosa sulla morte dell’ultimo album è in stretta connessione con il filo rosso della produzione testuale dell’artista, ovvero la dicotomia tra il bisogno di credere, di avere una fede in un Dio e lo scetticismo nei confronti della sua esistenza o perlomeno nella sua benevolenza. Non è questa la sede per approfondire un discorso che meriterebbe libri interi. Per piccoli flash, voglio solo ricordare come Ziggy Stardust sia “the Nazz” , ovvero il Nazareno; le meditazioni teosofiche presenti in “The Supermen” e “Oh! You Pretty Things”; il buddismo giovanile ripreso a partire dagli anni 90; l’interesse per la Kabbalah espresso in “Station to Station”, che nel titolo faceva riferimento anche alla Via Crucis cristiana; l’interesse dei primi anni 70 per il pensiero di Aleister Crowley, il nazismo esoterico (ma mai aderì a questa ideologia, contrariamente a ciò che si pensa), la numerologia, l’esoterismo, le foto Kirlian e la carte Tattwa in un crescendo paranoico che lo portò prima a praticare esorcismi e poi a riaccostarsi alla fede tradizionale, come testimoniato nelle parole di “Word on a Wing”:
Signore, m'inginocchio e t'offro la mia parola con un filo di speranza e sto provando in tutti i modi a rientrare nel tuo schema delle cose.
“Blackstar”, con il suo video che ha fatto parlare di satanismo i più sprovveduti, realizzato su precise indicazioni, anche iconografiche, di Bowie, parla di questo: è un esorcismo contro il timore più grande, quello della morte. Ecco il tremore dei due ragazzi e della donna; ecco il rito con il teschio di Major Tom/Sam Bell; ecco i tre osceni crocifissi, divorati da una bestia nera coi dreadlocks (il tumore? La morte?), che rappresentano forse non Cristo e i ladroni, ma la condizione miserevole di noi tutti, ciechi e tesi alla riproduzione: poveri Cristi, in una parola. Anche per questa ultima potente sintesi e per questo guardare negli occhi l’Avversario più grande, la Morte, scrivendo il proprio testamento definitivo (il quaderno di “Lazarus”, il libro brandito come schermo in “Blackstar”), Bowie ha confermato la propria grandezza artistica, che forse, se il genere umano avrà ancora memoria del passato, lo farà ricordare nei secoli dei secoli.
(Renzo Stefanel)
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