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Otto personaggi in cerca d’autore, o un regista in cerca di se stesso? Probabilmente entrambe le cose, dato che in questa sua ultima commedia Salvatores mischia le carte e racconta una storia costruita su una finzione che diventa realtà, lasciando allo spettatore la sensazione che la sua realtà possa diventare cinema, visto che (citando Groucho Marx sullo sfondo) «mi diverto solo quando leggo un libro o vedo un film. Nella vita reale non c’è mai una trama». Così il regista vero (Salvatores) affida ad un regista finto (Fabio De Luigi) il compito di scrivere una storia ove si intreccino le vicende di due famiglie, molto diverse tra loro ma unite dal fatto che i loro figli sedicenni intendono sposarsi. A causa di un banale incidente con una delle protagoniste della storia che sta scrivendo, il regista finto si ritrova catapultato all’interno della vicenda…
Diciamo subito che il film funziona a metà: da una parte il regista vero è sempre bravo a raccontare sogni e frustrazioni generazionali, e sotto questo aspetto veleggia sicuro con l’aiuto dei suoi fedelissimi Abatantuono e Bentivoglio, che lo sostengono senza sbavature in questo percorso in una sorta ideale di prosecuzione della meravigliosa trilogia che fu (Marrakesh Express, Turnè, Mediterraneo); meno sicuro appare quando entra nel terreno descrittivo della odierna “famiglia allargata”, che viene descritta con stereotipi non sempre all’altezza (tipo l’omosessualità del giovane Filippo o l’alzheimer della mamma di Bentivoglio), che non fanno decollare la commedia neanche nelle situazioni più forzate e grottesche. Pertanto le parti migliori risultano essere, oltre quella dei dialoghi nostalgici e riflessivi tra Abatantuono e Bentivoglio, una splendida sequenza in bianco e nero con sottofondo di pianoforte e musica di Chopin, e un folgorante inizio in cui il regista finto attraversa una insolita Milano estiva ricordandoci tutte le paure da cui siamo afflitti nel nostro quotidiano: paura che deragli il tram della nostra vita, paura del diverso, paura di ingrassare, paura del lavoro, paura della solitudine ecc... Oltre, ovviamente e non casualmente, alla colonna sonora, la quale anch’essa ci riporta indietro nel tempo con quel Greatest Hits di Simon & Garfunkel che ha precedenti illustri nella storia del cinema.
Dunque dopo le prove a mio avviso poco convincenti degli ultimi Quo vadis, baby e Come Dio comanda quello di Happy Family è certamente un passo avanti; ma se abbiamo il diritto a sognare nella nostra vita reale, al di qua dello schermo, una nostra happy family, abbiamo anche il diritto a pretendere, al di là dello schermo, qualcosa di più da uno dei più bravi registi italiani.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
01/04/2010 -
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