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Paul Greengrass
Green Zone
Drammatico, durata: 156' - Gran Bretagna, U.S.A., Francia,
2010
Relativity Media, Universal Studios
di
Elisabetta Lanzillotti
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Dichiaratamente ispirato al libro Imperial Life in the Emerald City: Inside Iraq's Green Zone di Rajiv Chandrasekaran, non-fiction del 2006 che documenta la vita nella zona verde di Baghdad. Greengrass ha acquisito popolarità grazie alla trilogia di Bourne (di cui ha diretto gli ultimi due spettacolari capitoli) e avendo evidentemente trovato una musa in Matt Damon, produce con questo film un ricordo confuso dei film che hanno creato il suo successo e la consacrazione dell’attore a più alti regimi di rispetto hollywoodiani. Green Zone porta indubbiamente il marchio stilistico del regista, ma non rappresenta un deciso passo avanti: la presenza dello stesso attore in un altro film d’azione e spionaggio impone il confronto e il film di oggi non arriva nemmeno all’altezza di nessuno dei precedenti, anche se molta critica lo ha definito “il quarto capitolo di Bourne”.
Il fatto che Green Zone non sia sui livelli della cinematografia autoriale precedente non preclude la possibilità che si tratti di un film interessante; non delude, non eccita tutte le aspettative ma riesce a creare interesse nonostante il poco attaccamento che si forma tra spettatori e personaggi. Il soldato Miller (Damon) è quasi stereotipico, il soldato americano da film, fiducioso ed incorruttibile di fronte a politica e servizi segreti abbastanza loschi. I dialoghi sono classici e tendenti allo spoglio e al prevedibile sproloqui morale: Green Zone è un film di intrattenimento, un film d’azione nella media, che non si spinge a fondo né nei contenuti, né negli azzardi registici. Le sequenze sono poco spettacolari, più tipiche di un “semplice” film di guerra che di un mix con lo spionaggio; pur mantenendo uno stile riconoscibile, Greengrass sembra costretto da una forza invisibile che gli impedisce di raggiungere il provato livello di maestria motoria alla cinepresa della quale si è dimostrato capace in passato.
Il film è guardabile, la regia delude considerando i trascorsi. Matt Damon sembra impacciato e impastato, risultato probabilmente dovuto alla sterilità dello script. Green Zone è un film diviso tra lo stile viscerale e realistico del regista – e alla validità del protagonista – e l’arida, moralistica consuetudine di una scrittura che tende troppo spesso al cliché. Il finale scontato non sorprende e non solleva l’animo del film.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
09/04/2010 -
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