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Fanno spesso fatica a giungere dall’America profonda fino a noi europei, ma in compenso, quel poco che arriva, è spesso di ottima qualità: è il cinema indipendente americano, di cui in questi ultimi anni si è visto sempre di più, e qualche titolo fortunato è riuscito persino ad attrarre l’attenzione di quel grande Moloch che è Hollywood, e a racimolare qualche statuetta dorata.
E a proposito di grande America profonda, in fondo è spesso lei la grande protagonista di tanto cinema indipendente: Sunshine Cleaning non fa eccezione. Una provincia sconfinata, popolata di gente teneramente insoddisfatta, punteggiata da occasionali e mortifere esplosioni di violenza. La giovane e assennata Rose, che sente su di sé l’ingiusta etichetta sociale di “ex cheerleader” (leggi “buona a nulla”), un po’ per soldi, un po’ per desiderio di rivalsa, si butta nel business delle bonifiche delle scene delittuose. Ovvero rimuovere e ripulire sangue e fluidi organici dalle abitazioni funestate da cruente tragedie. Con l’entusiasmo goffo e ingenuo di una nuova avventura, e con il recalcitrante aiuto della sorella minore, l’attività ingranerà bene, non senza il suo carico di buffe disavventure e scontate macabre comiche che si possono ben immaginare in un lavoro del genere…
Pur con la mente semplice e schietta della ragazza americana media, Rose si renderà conto della delicatezza anche spirituale del suo lavoro, superando gli evidenti aspetti da grandguignol; il suo operare è un intimo contatto con l’aura residua di una persona deceduta, il tramite di un ultimo saluto al mondo dei vivi e delle cose terrene, è una cancellatrice definitiva delle tracce di un’esistenza umana e una sacerdotessa laica officiante un momento di passaggio. Rose intuisce tutto ciò, e la sua ribelle sorella Norah, forse ancora più sensibile, si sente coinvolta ad un livello più pratico, cercando di rintracciare la figlia di una delle vittime incontrate nel proprio lavoro... cercando di fare qualcosa di buono nella sua esistenza apatica e dissoluta.
La definizione di commedia, o anche di commedia nera, sta stretta a questo piccolo e delizioso film: anche perché vista la geniale idea-perno del film, si sarebbe potuta calcare la mano su tutta una serie di gag macabre, ma alla fine invece quello che prevale è una gradevole ed equilibrata galleria di personaggi dell’America provinciale, cui non si fa fatica a credere. Dalle aspettative infrante e dal desiderio di affermazione di Rose (il dolce volto disneyano di Amy Adams), alla pigra ribellione e intrattabilità di Norah (una Emily Blunt da tenere d’occhio), al vecchio genitore amorevole quanto inaffidabile (il premio Oscar Alan Arkin, ancora un nonno alla Little Miss Sunshine), al suggestionabile e sveglio figlioletto di Rose, al timido e monco commerciante di prodotti per pulizia del paese.
Alla fine del film se ne rimpiange solo la breve durata: solo una rapida immersione in un affascinante e bizzarro serbatoio di umanità che solo gli sconfinati States sembrano riuscire a fornire...
VOTO: 4/5
Articolo del
19/04/2010 -
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