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Appena usciti dal carcere un ragazzo ed una ragazza, entrambi musicisti underground, cullano il sogno di mettere insieme una band con la quale poter espatriare e portare in giro per l’Europa e il resto del mondo la loro musica proibita in patria. Siamo in Iran, oggi. Siamo cioè in quello stato teocratico che fu antica Persia ed ha storia e tradizioni da vendere, ma dove oggi tutto è vietato a causa del regime politico che domina da anni. Anche suonare è vietato: ma questo divieto non impedisce ai giovani di riunirsi clandestinamente ovunque sia possibile: in Iran esistono oggi più di tremila band rock che suonano clandestinamente negli scantinati più nascosti, nelle stalle accanto al bestiame, negli scheletri dei palazzi in costruzione. E non c’è genere musicale che non sia magistralmente interpretato, in quegli squallidi scantinati: dall’indie rock al rap, dalla musica tradizionale araba al pop melodico.
Splendido affresco di un mondo sotterraneo a noi sconosciuto, il bellissimo film di Bahman Ghobadi è opera dal valore straordinario. Innanzitutto perché è un documento storico, ove il regista si prende la responsabilità di dare voce a tutto quel mondo giovanile che preme in Iran per potersi esprimere, attraverso la musica ma non solo, e se ne fa paladino portando con il suo film all’attenzione del media occidentali una realtà che il regime iraniano cerca di contrastare con metodi violenti. Va a questo proposito ricordato, per rafforzare il valore del film, che così come in Iran è vietato suonare senza autorizzazione governativa, è altrettanto vietato girare film non autorizzati. Ed è proprio il caso di cui parliamo, per il quale il regista, durante le riprese che coraggiosamente stava girando, è stato più volte fermato dalla polizia e ha dovuto “corrompere” i poliziotti regalando copie di dvd proibiti e dei suoi precedenti film onde evitare l’arresto. E’, in secondo luogo, forse il primo film che con le sue riprese in esterno ci fa conoscere quella Teheran moderna, che accanto a quella antica sviluppa le sue enormi contraddizioni: modernità accanto ad antichità, ricchezza accanto a povertà assoluta, e in questo percorso riesce a mostrarci quella città nascosta, dove i ragazzi si incontrano per suonare, per stare insieme anche a lume di candela, che è davvero un valore aggiunto inestimabile. E’, in terzo luogo, un film orientale dal ritmo occidentale: qui siamo lontani dai ritmi lenti, dagli spazi vuoti, dai dialoghi rarefatti dei film (spesso capolavori) del grande maestro Abbas Kiarostami. Qui il ritmo è veloce, la macchina da presa corre insieme alla moto di un protagonista, come corre la capitale iraniana, è immessa nel traffico assordante ed entra dentro i vicoli dell’assurdo, scava nelle anime di un popolo che giace sommerso dalla cenere del regime ma che è pronto ad esplodere, ad essere protagonista alla luce del sole e non clandestino come è costretto ora. Da ultimo il film, premiato a Cannes lo scorso anno, esprime il valore di molti gruppi musicali iraniani che si muovono appunto in quel terreno difficile dell’underground. Perché i pezzi musicali, realmente suonati dai musicisti del film e tutti rigorosamente originali, sono di straordinaria bellezza, oltre che di variopinto genere. Su tutti un pezzo rap, con un testo struggente tutto da seguire.
Tutto ciò dimostra che non può esistere regime dittatoriale che riesce ad impedire le infiltrazioni di libertà della storia. Queste possono essere ostacolate, ritardate, punite. Ma inesorabilmente penetrano nelle anime delle persone libere, che hanno voglia e necessità di esprimersi e che sono sempre e comunque al passo con i tempi, sebbene gli possa essere impedito di vedere cosa succede nel resto del mondo al di fuori dei propri confini. Grande merito dunque al regista Ghobadi, che per averci regalato questa perla, come da lui stesso dichiarato, quasi certamente non potrà più lavorare in patria. Nella sua patria, che comunque adora. Ma noi dobbiamo almeno seguire il suo suggerimento: quando parlate di Iran, ha detto, «non identificatelo soltanto con il nucleare o con i mullah. Quando parlate di Iran immaginatelo come una bellissima donna coperta con il suo chador dalla testa ai piedi: quello che vi chiedo è di mostrare il bel volto che si nasconde sotto il velo». E noi sappiamo che sotto quel velo ci sono migliaia di giovani che suonano, e migliaia di giovani che studiano nelle famose università di Teheran, e sappiamo che sono loro che dobbiamo ascoltare, non i loro dittatori. E se domani, come tutti ci auguriamo, quella che esploderà non sarà il tanto temuto ordigno nucleare, ma questa nuova società ora repressa e nascosta, questo lo dovremo anche ad artisti coraggiosi come Baham Ghobadi.
VOTO: 4/5
Articolo del
20/04/2010 -
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