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Alejandro Amenábar
Agorà
Avventura, Drammatico, Storico, durata: 141’ – Spagna, U.S.A.
2009
Cinebiss, Himenóptero, Mod Producciones, Telecinco Cinema, Telecinco / Mikado
di
Omar Cataldi
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Il kolossal di ambientazione antica visse e prosperò a Hollywood dal muto fino ai primi Sessanta. Ma mentre la priorità iniziale di tali pellicole era la grandiosa spettacolarità, col volgere dei rivoluzionari Sixties, i film si fecero più riflessivi e meno preoccupati di mostrare sontuosità a tutti i costi: primo lampante esempio di questa tendenza fu il cogitabondo Spartacus, del 1960, opera di un ancor poco noto Stanley Kubrick. Nonostante il gran numero di star e la messa in scena ciclopica, la sceneggiatura (non così nascostamente) filocomunista intendeva far riflettere, attraverso la ribellione del protagonista, sulla condizione dello schiavo nell’antica Roma. Quattro anni dopo, ne La caduta dell’Impero romano, Alec Guinness, filosofeggiava apertamente e abbondantemente nei panni dell’erudito imperatore Marco Aurelio, una novità per una produzione tanto titanica, che forse contribuì al relativo insuccesso del film.
A continuare queste illustri quanto abortite tendenze del passato, oggi bisogna riattraversare l’Atlantico e ritrovarsi in Spagna, dove un inedito Alejandro Amenábar (The Others, Mare dentro) mette in piedi un kolossal europeo dove le pur favolose ricostruzioni scenografiche passano in secondo piano, e si respira invece filosofia, scienza e religione.
In un’Alessandria d’Egitto agli sgoccioli della potenza romana, tuonano i conflitti socio-religiosi tra i greco-pagani, depositari della sconfinata cultura laica dell’antica Biblioteca, e i cristiani, appena usciti dall’ombra delle cessate persecuzioni, feroci nel proselitismo e nell’intolleranza contro tutte le altre componenti sociali (come tutte le religioni neonate). Nel turbine della pericolosa situazione si ritroverà capro espiatorio la realmente esistita Ipazia, bellissima e virginea astronoma e filosofa pagana, insegnante di scienze nella Biblioteca ad una giovane classe multietnica: la fratellanza data dalla cultura si rivelerà un’ingenua utopia, fuori dell’aula l’integralismo avrà la meglio su tutti loro...
Agorà appunta una bella medaglietta sul petto già meritevole di Amenábar, per il solo fatto di essere il primo kolossal antico ad avere per protagonista non le battaglie, gli eroi, i gladiatori/imperatori, ma la cultura, parte più negletta nelle ricostruzioni storiche; e si porta a casa anche la benedizione di Umberto Eco, che ha gradito il rinnovato interesse del mondo per la dimenticata filosofa protagonista (“Tutti pazzi per Ipazia”!?!).
Ipazia (la placida beltà di Rachel Weisz), è agli occhi del regista, una carismatica e schiva “santa laica”, che ha sostituito la propria realizzazione come donna e madre all’ossessivo studio delle sfere celesti, ha sostituito le certezze della religione con il perpetuo dubbio dell’empirismo scientifico, con l’aporia dell’orbita terrestre. Per questo suo rifugiarsi nel Mondo Iperuranio (e per il fatto di essere donna sapiente) sarà facile addossarle la colpa dei tesi rapporti interreligiosi. Subirà un cristico martirio, giusto per mano di coloro che ebbero il proprio Maestro sacrificato circa quattro secoli prima in circostanze simili... Vedere i cristiani come carnefici è lo shock del film, soprattutto quando li si è visti precedentemente distribuire con amore il pane tra i poveri: ma Amenábar sa mostrarci anche che la violenza apparteneva a tutto il mondo antico, nessuno escluso.
L’elemento simbolico più ricorrente del film, i grandiosi carrelli che portano la macchina da presa a calare dallo spazio extraterrestre fino alle strade e ai templi di Alessandria e viceversa, vuole certamente suggerire la sfaccettata città come epitome dell’intero pianeta... ma anche come il cosmo (cui va l’ultimo supplice sguardo della morente Ipazia) assiste da sempre indifferente alle tragedie umane, irraggiungibile, se non forse solo dalla musica di un aulós... VOTO: 4/5
Articolo del
10/05/2010 -
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