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Dopo Sean Connery e Kevin Costner e prima di loro Douglas Fairbanks, Errol Flynn, l’indimenticabile versione di Mel Brooks, L’uomo in calzamaglia, e la volpe della Walt Disney, anche Russel Crowe interpreta il leggendario fuorilegge dell’Inghilterra del XIII secolo.
L’originalità di questa versione è il punto di vista sulla storia, che mette in evidenza non le gesta del nobile ladro che ruba a ricchi per dare ai poveri, bensì come questa leggenda nasce, quali contingenze portano a essere braccato dal re Giovanni (Oscar Isaac) e dallo sceriffo di Nottingham (Matthew Macfadyen), ricercato in tutto il Regno. Racconta di come Robin Longstride combatté al fianco di Re Riccardo Cuor di Leone (Danny Huston) nelle crociate contro i mori e di come fuggì disertore appena dopo la notizia della morte del Re in una battaglia in Francia, e quindi di come, tornato in patria, fu fatto passare per il defunto Sir Robert Loxley, con il benvolere del padre di questi (Max von Sydow), ma con l’iniziale ritrosia della vedova, Lady Marion (Cate Blanchett).
Il Robin Hood di Ridley Scott mette in risalto aspetti più umani dell’eroe per antonomasia, incarnato a tutto tondo dal (come sempre) performante Russel Crowe, che, oltre ad essersi documentato cavillosamente sul personaggio e sul periodo storico, si è realmente esercitato a tirare con l’arco per quattro mesi fino a raggiungere ottimi risultati. Un eroe scaltro e a volte cinico, ma non privo di un profondo senso della giustizia, della verità e del coraggio, che successivamente si scoprirà essere eredità del padre: un umile tagliapietre, ma di nobili valori, insomma anch’egli un eroe il cui sacrificio è rimasto vivo nella memoria degli inglesi. È quindi moralmente e fisicamente prestante questo Robin, senza nulla togliere agli attori comprimari come Oscar Isaac, che disegna in maniera ironica il debole e lussurioso despota, e William Hurt, che interpreta il ruolo del Conte di Pembroke, che pur stanco delle vessazioni e dell’irragionevolezza di Re Giovanni, riesce a convertire la marcia dei Baroni del Nord contro il tiranno, in una guerra contro il nemico ormai alle porte: la flotta francese che ha attraversato la manica.
La minuzia nella ricostruzione dei poveri villaggi, dei sudici castelli e della corte reale e la precisione nella descrizione politica, storica ed economica dell’Inghilterra del XIII secolo, differenziano questo Robin Hood dai precedenti. Pare che il regista stesso abbia dichiarato di voler prendere le distanze dai suoi predecessori e che la sua versione preferita di Robin Hood è quella di Mel Brooks. La sceneggiatura fu riscritta più volte (motivo per cui le riprese furono rimandate dall’agosto 2008 al febbraio del 2009): una prima stesura molto innovativa ma meno fedele vedeva come protagonista lo Sceriffo di Nottingham e il personaggio di Robin risultava un po’ meno virtuoso.
Unico aspetto che stona con l’ottimo equilibrio tra violenza negli scontri e realismo scenografico è l’eccesso di mascolinità di Cate Blanchett, che viene, come era prevedibile, a sciogliersi in una struggente dichiarazione d’amore all’alba della battaglia finale contro l’esercito francese, in cui ci ritroveremo l’eroina imbracciare la spada in pesanti corpo a corpo. La virilità e la generosità latenti di colui che prende il posto del marito nella sua Nottingham, con la sua gente, nella sua casa (ma non nel suo letto) risvegliano anche il suo fascino inizialmente algido e la sua femminilità abbrutita da anni di duro lavoro e di lotte. Eppure tutto questa grinta, forza e resistenza appaiono immediatamente fragili e false di fronte ad un attore che con naturalezza e personalità incarna un eroe, un guerriero e un uomo.
VOTO: 4/5
Articolo del
18/05/2010 -
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