|
Si può raccontare il dramma del conflitto arabo-israeliano in una chiave che, oltre all’inevitabile risvolto drammatico, assume spesso i contorni di una racconto ironico e grottesco? Ci ha provato Elia Suleiman, regista palestinese, riuscendo nell’intento ed ottenendo anche ottimi consensi al recente festival di Cannes. Lo ha fatto raccontando la storia della sua famiglia, con lo sfondo del conflitto a Nazareth, Galilea, in quattro momenti storici ben precisi: il 1948, il 1970, il 1980 ed i nostri giorni. Il padre Fuad riporta gravi conseguenze fisiche in seguito al pestaggio dei soldati israeliani, il piccolo Elia, figlio di Fuad, viene spesso sgridato a scuola perché dice che l’America è imperialista e colonialista, l’intifada si combatte nelle strade della città con disarmante regolarità...
Al di là della ricostruzione storico-biografica che fa da asse portante, la forza e l’originalità del film è però nella capacità del regista palestinese nel rendere, con immagini per noi quasi surreali, una situazione di conflitto quotidiano che, seppur drammatico, è ormai divenuto talmente radicato nella vita e nelle abitudini dei contendenti da abbattere completamente il confine tra guerra e la pace, tra la vita e la morte, tra gli amici e i nemici. Quello che Suleiman descrive con indubbia efficacia è la convivenza, per quei due popoli, ormai del tutto naturale, dei carri armati che seguono con il cannone puntato un semplice cittadino palestinese uscito di casa per buttare la spazzatura; è il coprifuoco imposto dai soldati israeliani, che nell’ordinarlo a ragazzi palestinesi che ballano in una discoteca, lo impongono con l’altoparlante a ritmo di musica perché anch’essi vorrebbero essere con gli altri a ballare; è la mamma che passa con il carrozzino nel bel mezzo della classica guerriglia urbana (dove da una parte ci sono i ragazzi palestinesi che tirano le pietre e dall’altra i soldati israeliani che rispondono con le armi più sofisticate) e l’intifada si interrompe per lasciarla passare, per poi riprendere come nulla fosse...
Quando il regista (interpretando se stesso) appare nel film siamo ai nostri giorni. Lui osserva, completamente muto, l’evolversi (o il dissolversi) degli eventi che vede intorno a se. E quello che vede, attraverso i suoi occhi e attraverso quel mutismo che sembra urlare disagio, è la madre invecchiare su un balcone dal quale ha visto guerra e morte, fuochi d’artificio e fuoco di guerra; vede ragazzi palestinesi in una sala d’aspetto d’ospedale che sono esattamente identici ai ragazzi occidentali nei loro vestiti, nella loro musica figurata; e soprattutto vede quel muro della vergogna costruito intorno a Gaza, ed immagina di superarlo con il salto con l’asta. Ben sapendo che dall’altra parte ci sono persone molto più simili a lui e al suo popolo di quanto invece non dicano gli oltre sessant’anni di guerra.
VOTO: 3,5/5
Articolo del
10/06/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|