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Gli zombie sono ormai ovunque e sembrano destinati a prendere il sopravvento sulla razza umana. Quando anche per quei pochi superstiti senza scrupoli le speranze di sopravvivenza stanno per trasformarsi in un’utopia, ecco presentarsi all’ex militare Sarge “Nicotine” Crocket e al suo piccolo manipolo di feccia in divisa la più classica di esse: un’isola felice. Un fazzoletto di terra a nord della costa che, secondo un ragazzino sbruffone comparso dal nulla, è l’unica possibilità di salvezza. Ma la piccola isola di Plum, che da generazioni è dilaniata dalla lotta per la supremazia tra i due clan che la popolano, gli O'Flynn e i Muldoon, è tutto fuorché l’ameno paradiso tanto atteso.
Con Survival of the Dead George A. Romero firma il sesto capitolo della sua ideale riflessione di escatologia horror in celluloide. Come da tradizione è un episodio autonomo e indipendente dalle pellicole precedenti. Il fatto che Sarge e i suoi scagnozzi avessero incrociato per qualche minuto le sorti dei giovani filmmakers protagonisti di Diary of the Dead, non deve trarre infatti in inganno e far pensare che Survival ne sia un sequel o uno spin-off. Il problema degli zombie movies tradizionali è che la trama si basa sempre su una qualche circostanza per cui i cadaveri tornano a camminare e sono affamati di carne umana fresca. Il rischio che pellicole di questo genere finiscano col somigliarsi tutte, inevitabilmente risultando banali o ripetitive, è sempre dietro l’angolo. Fortunatamente Romero, cineasta della vecchia scuola, riesce agilmente ad evitare questa insidiosa trappola e qualsiasi forma di parossismo o autocompiacimento, realizzando un film lontano dai canoni hollywoodiani, dove l’originalità e le trovate innovative costituiscono il fulcro di una produzione che sembra quasi low budget. Senza rinunciare al suo tipico sguardo cinico sulla società in cui i veri i cattivi sono gli uomini, su un mondo e uno stile di vita che generano mostri ben più pericolosi di qualsiasi zombie, il regista porta in scena gli strazianti dilemmi dell’etica e della morale, la complessità di valori quali la famiglia, la solidarietà, la tradizione, ma lo fa in modo quasi dissacrante giocando le carte del sarcasmo, dell’ironia, dello humour nero senza paura di sconfinare in una comicità grottesca e demenziale. Per riuscire nell’impresa Romero non esita a sfruttare il cliché dei film di guerra, ma soprattutto quello del genere spaghetti western, riproponendoli come una macabra e divertentissima parodia della loro matrice originaria che si bilancia perfettamente con gli altri elementi più gore e drammatici del film.
Survival of the Dead è un film che difficilmente potrebbe scontentare qualcuno: è un horror sugli zombie a tutti gli effetti, non mancano budella sparse e teste spappolate, ci sono le idee, si ride e si riflette. Tanto di cappello – da cowboy in questo caso – a Romero che nonostante i suoi settant’anni si dimostra un eccellente equilibrista in grado di camminare sulla corda tesissima che sovrasta le etichette, i generi e lo spauracchio del box office senza doversi piegare a nessun compromesso.
VOTO: 3/5
Articolo del
24/06/2010 -
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