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Sono davanti allo schermo del portatile da almeno una ventina di minuti, fissando un foglio bianco, di quel bianco oppressivo che più lo guardi e meno sai come riempire. E’ questo l’effetto che fa un film Pixar, non sai da dove iniziare, rischi di spargere sempre le stesse lodi, di citare infinite volte la parola capolavoro dimenticandoti ogni analisi critica, in favore di encomi spassionati. L’incapacità di dare forma a un articolo critico nasce dal fatto che perle cinematografiche di cotanta bellezza schivano ogni possibile disamina, ogni sviscerazione, ogni vivisezione. Avete presente il significato dell’espressione rimanere senza parole? Ecco.
Spente le luci in sala, dopo i trailer del caso (fra cui un traumatizzante Nicholas-Cage-versione-stregone-disneyano accompagnato dalla sua capigliatura che ormai vive di vita propria), apre la pista Quando il giorno incontra la notte, l’ennesimo geniale cortometraggio che lascia poi spazio al grande atteso Toy Story 3 – La fuga. Un inizio da far west a ritmo elevatissimo, primo dei molteplici registri – dal carcerario, all’action rocambolesco, dalla commedia al dramma – che si fondono per una vicenda di per sé semplicissima: Andy, ormai diciassettenne e diretto al college, decide di portarsi appresso il solo Woody, relegando gli altri “giocattoli” alla soffitta. Questi, per sbaglio finiscono in un asilo tiranneggiato da un perfido orso di peluches al profumo di fragola, dal quale tenteranno la fuga.
Sgorgano emozioni vere (e stiamo parlando di giocattoli animati, ricordiamocelo), spina dorsale di un’opera che intrattiene, diverte, entusiasma, fa pensare, rattrista per poi sorprendere. Si passa in un lampo dalla risata alla lacrima e viceversa, grazie ad una sceneggiatura da manuale, tempi e dialoghi calibrati con la massima cura, moltissimi personaggi ognuno caratterizzato da un proprio ruolo funzionale e di spessore. L’attenzione ai dettagli è, come al solito, maniacale, l’espressività (creata al computer!) dei protagonisti è stupefacente. Scene come il prefinale tagliano le gambe e tolgono il respiro, grazie ad una dilatazione temporale perfetta che sembra decretare una fine tragica dei nostri beniamini, ma nemmeno il tempo di asciugarsi gli occhi che il finale vero e proprio non cala la guardia e ti convince di non esser fatto per gli addii, senza poi dimenticare le note esilaranti.
Non esisterebbe l’animazione classica senza la Disney, come non esisterebbe quella moderna senza la Pixar sua diretta discendente. Quando ci affidiamo alle mani dei ragazzi degli studios californiani, torniamo all’origine, alle sensazioni vere, alla distinzione fra bene e male, fra ciò che giusto e sbagliato, fra ciò che è bello e brutto. E quanto è splendido lasciarsi andare e farcisi cullare, senza la troppa amarezza e il disincanto di fondo che ormai permeano gran parte delle produzioni contemporanee figlie della nostra società alla deriva. Un film Pixar è un ritorno alle origini, una riscoperta dei valori veri. Entrate in sala e abbandonatevi, verso l’infinito, e oltre!
VOTO: 5/5
Articolo del
16/07/2010 -
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