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Regista di culto incredibilmente prolifico, con più di 80 produzioni all’attivo tra cinema e televisione, Takashi Miike è un “pioniere” visionario al pari dei maestri delle migliori avanguardie. I suoi film sono voli ben più allucinanti e allucinati della caduta di Alice nella tana del Bianconiglio. Questo cineasta giapponese si è da sempre spinto oltre ogni confine collocando i suoi racconti di celluloide in una dimensione dove l’assurdo e il surreale lasciano un inevitabile retrogusto di realtà, i sentimenti si confondono con la ferocia animale, il metropolitano sfuma nell’ancestrale, e un inquietante alone onirico miscela la rêverie con gli incubi peggiori proiettandoli sulla vita quotidiana come una subdola e gelida ombra. Quella dimensione ideale a cui un certo tipo di cinema dovrebbe appartenere.
Dopo aver spaziato tra generi e sottogeneri assai diversi, portando sul grande schermo a modo suo il mondo della yakuza, serial killer spietati, fantasmi di vario tipo, eroi in calzamaglia e idoli dei manga, Takashi Miike ha presentato in concorso alla 67° Mostra del Cinema di Venezia 13 Assassins, remake della pellicola Jidai Geki diretta nel 1963 da Eiichi Kudo. L’innovativo ed eclettico regista si cimenta dunque con la tradizione del cinema di “cappa e spada” nipponico narrando la storia di un gruppo scelto di samurai e ronin incaricati di uccidere il perfido Naritsugu, uomo dalla natura spregevole e laida, invasato, violento e perverso, che si è macchiato di crimini orrendi per puro divertimento, rimanendo impunito grazie al suo status. Egli è infatti destinato a succedere all’attuale shogun ed è proprio per scongiurare la sua ascesa al potere che i 13 assassini del titolo devono eliminarlo tendendogli un agguato sulla via per Edo. Sarà il «massacro totale».
Eccessivo quanto basta e spesso sopra le righe della narrazione convenzionale, Miike ha rivisitato l’originale con grande rispetto, creando con il suo occhio curioso e divertito dietro la macchina da presa una pellicola spettacolare, dove la ricostruzione storica imponente e maestosa, catturata da una fotografia raffinata e ricercata, incorniciata da inquadrature e movimenti di camera di una bellezza rara, è il teatro in cui si scontrano interpretazioni diverse del codice dei samurai, l’onore e l’infamia, la deviazione totale dell’individuo e il cammino verso la giustizia, la vita e la morte messe in gioco dai paradossi del destino. A questa operazione riuscitissima Miike aggiunge un tocco unico e moderno marchiandola con gli elementi caratteristici della sua cifra stilistica, chiaramente riconoscibili nell’accurata caratterizzazione dei personaggi, nel sarcasmo e nella tagliente ironia che serpeggiano nella sceneggiatura, nelle immagini macabre con cui rivela gli orrori umani e sviscera ogni tipo di mostruosità in modo disarmante quanto shockante. L’ulteriore colpo da maestro sono le interminabili ed emozionanti sequenze dei combattimenti, perfettamente orchestrate con il ritmo dei più avvincenti action movies, organizzate all’interno di un pazzesco labirinto di trabocchetti dove, in un vortice di lame che scintillano, non mancano acrobazie, esplosioni, botte da orbi, corpi spaccati a metà e teste che rotolano.
Mentre il sangue sullo schermo scorre copioso, quello degli spettatori non può fare a meno di pulsare più vivo e veloce che mai per un film così coinvolgente da togliere a più tratti il fiato.
VOTO: 4/5
Articolo del
17/09/2010 -
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