Una benestante buontempona newyorkese (Julia Roberts) perennemente insoddisfatta della propria vita, dopo aver udito una profezia confezionatale da uno sciamano, per ritrovare il proprio equilibrio affettivo e spirituale molla il marito (Billy Crudup) e parte alla volta di Italia, India e Bali. Dove proverà ad appagare stomaco, spirito e cuore.
Ryan Murphy si sta pian piano rovinando la reputazione con le sue mani. Dopo due spettacolari prime stagioni di Nip/Tuck, una lenta e inesorabile discesa verso il baratro. Il declino della serie tv camminava di pari passo con la sua prima esperienza su grande schermo, il discreto Correndo con le forbici in mano che prendendo un po’ qua e un po’ là dai vari dramedy americani, riusciva zoppicando a reggersi in piedi. Con Mangia prega ama si scava la fossa da solo, imbastendo un tripudio di idiozie tirate per 130 lunghissimi minuti, un vestito orrendo cucito addosso ad un’attrice che, caricandosi tutto il peso della pellicola, lo indossa pure con disinvoltura. Ne esce un personaggio odioso, che incapace di affrontare i (futili) problemi della vita passa dalle braccia di tre uomini diversi (Crudup, James Franco e Javier Bardem) non prima di aver vagato mezzo mondo alla ricerca della verità interiore (alla faccia di chi d’estate si può permettere solo una settimana di Bed & Breakfast in un albergo due stelle, e dicevano che c’era la crisi). La divisione in segmenti della narrazione non fa altro che accentuare l’idiozia di come certe cose vengono messe su schermo: la parte in Italia è a dir poco imbarazzante, noi beceri paesani italioti sappiamo solo cucinare spaghetti, bere vino, rincorrere arrapati delle ridenti ragazze in piazza e fare sesso. Il dolce far niente, cito testualmente. E per fortuna sono solo italiano e non indiano o balinese, di stereotipi da sfatare ne ho già fatto indigestione, gli altri li lascio a chi più se ne intende. In ogni luogo dalla Roberts frequentato spunta fuori un/a compagno/a d’avventure, in quattro e quattr’otto divengono migliori amici e se in Italia l’annoiata protagonista si serviva di un dizionario per colmare le lacune linguistiche, dall’India tale ostacolo sembra svanire: magicamente parlano tutti la stessa lingua. La forza della globalizzazione.
Un film senza capo né coda, nessun background dei personaggi è minimamente accennato, ciò che succede succede e basta, senza cognizione di causa. Sembra che per trovare il senso della propria vita basti avere un sacco di soldi da spendere in viaggi per mesi e mesi finché a forza di scorpacciate e yoga non si incontra il tenebroso straniero che fa scoccare la scintilla. Disarmante pochezza di cose da dire e pietoso modo in cui vengono dette. Un pasticcio sfrenato di luoghi comuni irritanti, di personaggi insulsi, di avvenimenti casuali. La vuotezza di questo film si rispecchia perfettamente nella vacuità del personaggio attorno al quale è stato scritto, non pensate di trarci nulla di buono dalla visione dello stesso. Anche perché è una gran bella rottura di scatole.
VOTO: 1/5
Articolo del
20/09/2010 -
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