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Non possiamo raccontare l’ultima fatica di Oliver Stone senza ripartire dal 1987. Anno in cui il regista di tanti capolavori diede vita ad uno dei personaggi più affascinanti, carismatici e controversi degli ultimi trent'anni di cinema americano. Quel Gordon Gekko (Michael Douglas) signore e padrone di Wall Street, ricco, rampante e cinico speculatore di borsa che costruiva le sue fortune economiche senza preoccuparsi di inevitabili ricadute su posti di lavoro e dunque su drammi umani (ricordate la Blue Express, compagnia aerea del papà di Martin Sheen, all’epoca suo allievo e ambizioso giovane rampante?) Erano gli anni Ottanta, anni dello yuppismo newyorkese che presto si diffuse in tutto il mondo; anni del denaro facile per chi già ne aveva e lo poteva “giocare” in borsa, moltiplicandolo a dismisura con un po’ di fortuna e il consiglio di qualche bravo piazzista. Anni importanti, perché proprio in quegli anni di deregolamentazioni e liberalizzazioni dell’era Reagan si stava inconsapevolmente mettendo alla prova del nove la tenuta del sistema liberista e si stava preparando il terreno per quella che poi, giusto due anni fa, sarebbe diventata la più grande crisi finanziaria dal 1929. Quel Gordon Gekko non esiste più: ha scontato otto anni di carcere per insider trading, frode fiscale ed agiotaggio (che strano paese l’America: per questi reati si và in carcere, mentre da noi si fanno scudi fiscali e leggi ad hoc per evitarlo, il carcere) ed una volta tornato libero è completamente solo. Non ha più i finti amici che lo circondavano per interesse quando era all’apice del successo, non ha più la ricchezza di una volta, non viene riconosciuto dai grandi speculatori un tempo suoi competitor. Ha tutto da ricostruire, compreso il rapporto con sua figlia, che non gli parla più da anni. Ma sarà realmente cambiato?
Ventitrè anni dopo il primo Wall Street, Oliver Stone torna a puntare la sua macchina da presa nel cuore pulsante del moderno capitalismo. E lo fa alla sua maniera: indaga a fondo, denuncia, informa, seduce. Lo fa raccontando la trasformazione avvenuta in un paese dove una volta i singoli potevano arricchirsi a dismisura, violando qualche regola e disobbendo a qualche legge, compresa qualche legge morale. Ora a quei singoli si sono sostituite istituzioni, banche, associazioni, fondazioni: per meglio confondere le acque, per meglio sguazzare nel fango di regole diventate nel tempo sempre più vaghe e permissive; lo fa evidenziando come la mano invisibile del libero mercato sia in grado di mantenerlo in vita, ma solo fino a quando quel mercato stesso non ha spremuto a dovere anche tutto quello che viene venduto o comprato spacciandolo per ricchezza ma che ricchezza non è (i titoli subprime o tossici). E’ allora che quel mercato siede umilmente al tavolo della Federal Reserve in cerca di un aiuto costituito dal denaro pubblico. Lo fa raccontando di come nel capitalismo il domani non può essere un orizzonte temporale a lunga scadenza: i profitti vanno realizzati subito, altrimenti gli azionisti non investono ed il management non prenderà il succoso bonus di fine anno. Lo fa con l’occhio attento del grande regista, che si è avvalso di un lungo lavoro di indagine nei centri del potere finanziario americano supportato dalla collaborazione di veri operatori di borsa; e lo fa con il realismo di chi va a mettere la macchina da presa negli open space di quelle società dove si fa realmente compravendita di titoli azionari. Lo fa avendo la fortuna di non essere un uomo accecato “dall’avidità”, tema portante del film sul quale Gordon Gekko ha scritto un saggio durante la sua permanenza in carcere, e dunque riesce ad evidenziare le vene aperte di un capitalismo sempre più spietato e sempre meno efficiente, che non produce più ricchezza come beni prodotti ma rendite finanziarie costituite da soli movimenti di denaro.
Pensate di saperne poco di economia, o che il tema non vi interessi? Fa niente: andateci lo stesso. Perché forse molti non lo considereranno un capolavoro (come invece fa il sottoscritto) ma nessuno potrà negare che questo è un grande film. E lo è perché pone, sotto la forma narrativa del grande racconto, tematiche a cui nessuno può dire di non essere interessato: come ad esempio la difficile, se non impossibile, conciliazione tra investimenti in energie pulite e sistema capitalista che come detto non tollera profitti a lungo termine. O come i nuovi rapporti negli equilibri mondiali, ove i cinesi hanno comprato buona parte del debito pubblico americano e questo ne condiziona e ne condizionerà sempre più i rapporti diplomatici e politici. O come l'atroce dilemma in cui si trova Gordon Gekko, se sia barattabile l’ecografia con un bambino nella placenta della mamma (e dunque il futuro) con una ricchezza economica, immediata ma aleatoria. Andateci, perché nessuno si può sottrarre a queste riflessioni; e poi scoprirete che in questa gita lunga oltre due ore sarete accompagnati da attori che la renderanno piacevole, perché è gente straordinaria che sa fare in maniera straordinaria il proprio mestiere, da quelli che per copione hanno poco spazio (su tutti uno strepitoso Frank Langella) al protagonista Michael Douglas, che con il primo film del 1987 vinse l’Oscar come attore protagonista, e qui non è certo da meno. Andateci, perché rare volte un sequel è più bello della prima parte, e questa è una di quelle volte. Andateci, e se avrete seguito questo consiglio, ve ne do un altro: non staccate gli occhi da quella che pensate sia la scena finale: perché in contemporanea con i titoli di coda c’è qualcosa (che ovviamente non svelo) che si alza verso il cielo. E’ quella la fine del film, ed è quella cosa che fa di questo grande film un capolavoro.
VOTO: 4,5/5
Articolo del
11/10/2010 -
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