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Ha il marchio del perdente stampato sulla fronte, Mariano Pacileo. Grande e visibile come quella voglia per la quale viene chiamato Gorbaciof. Fa il cassiere nel carcere di Poggioreale, a Napoli, e sembra non avere altri amici che mazzi di banconote e lunghi silenzi. Con i primi, sottratti dalle casse del carcere, si dedica ad ogni tipo di gioco: dal poker in un retrobottega di un ristorante cinese al bingo, dalle scommesse dei cavalli al videopoker. Con i secondi ci convive, sia quando è solo nella sua squallida abitazione, sia quando è fuori, in mezzo alla gente. Forse cerca disperatamente di interromperli, quei silenzi, riconoscendo tra i tanti sconosciuti dei non luoghi in cui si muove altre solitudini come la sua, che urlano un dolore e cercano un eco. E magari per un attimo lo vediamo dialogare a gesti (con strepitosa mimica facciale) con un sedicente Tarzan sulla metro, che si batte il petto per lanciare a sua volta un grido che sia udito dal contesto circostante, che invece inevitabilmente ignora. Forse quel suo grido silenzioso arriva agli occhi e al cuore di Lila, figlia del ristoratore-biscazziere cinese che sembra non porsi scrupoli se dovesse utilizzarla per una puntata sul tavolo da poker. Forse Gorbaciof potrà salvare Lila, o forse Lila potrà essere l'unico valido motivo per Gorbaciof per sognare di andarsene lontano, con l'aereo. O forse Gorbaciof ha imparato da Lila che quando non c'è la tigre, le scimmie si ergono a tali, ma rimangono scimmie. Mentre noi abbiamo imparato, e non per metafora, che quando alla tigre viene ridotto il suo habitat naturale è costretta ad andarsene. Ed è allora che rimangono solo le scimmie....
Ennesima prova d'Attore del superlativo Toni Servillo, che con la sua interpretazione si carica sulle spalle pregi e difetti di questo film, e riesce a mascherare fin dove può lacune non indifferenti del pur bravo Stefano Incerti. Perchè se è vero che la macchina da presa è efficace nel descrivere i luoghi asettici dell'animo umano attraverso i luoghi asettici di una città che è Napoli ma che avrebbe potuto essere qualsiasi altra, se è vero che la scelta dei non dialoghi funziona bene per descrivere il tema dell'incomunicabilità ed anzi il “muto” diventa quasi l'elemento portante del film (arricchito anche da immagini azzeccate che ne sottolineano l'intensità, come Gorbaciof e Lila che si guardano amorevolmente da due lati opposti di una vasca di pesci rossi), se è vero che il microcosmo descritto è quello di quei tanti microcosmi che la globalizzazione sfrenata ha portato quasi indistintamente in tutte le città dell'occidente scatenando la famosa guerra dei poveri, è vero altresi che senza l'interpretazione di Servillo il film sarebbe stato un film mediocre, ove la storia non brilla certo per originalità e quasi mai decolla e colpisce lo spettatore tanto da coinvolgerlo nella discesa all'inferno dei personaggi. Cosi come è vero che il cocktail cinematografico utilizzato dal regista, in cui inevitabilmente siamo portati a vedere qualcosa di Sorrentino (Le conseguenze dell'amore), qualcosa di Chaplin (Il monello), qualcosa di Abel Ferrara (Il cattivo tenente) e qualcosa di Tarantino (Pulp Fiction) non fa cadere il film nel ridicolo solo perchè Servillo ha personalità da vendere e riesce a caratterizzare comunque il suo personaggio in maniera originale.
Comunque il film lascia intravedere la mano di un bravo regista, che viene dalla scuola del grande Mario Martone e che, sebbene in questa occasione non convinca del tutto, fa ben sperare per il futuro. Ed in tutti i casi credo che, visti finora alcuni altri di quelli che sono passati in concorso a Venezia, posso tranquillamente sostenere che anche questo Gorbaciof non avrebbe sfigurato di fronte agli altri italiani passati invece in concorso.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
21/10/2010 -
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