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Nell’isolamento delle alture svizzere costantemente imbiancate e battute dalla neve, il Dottor Kruger offre ai suoi strambi pazienti un servizio davvero raro e singolare: nella sua lussuosa clinica si può infatti trapassare con dignità, vanità e tutti gli agi che possono venire in mente a chi esprime le sue ultime volontà. Questo singolare medico e il suo staff sono infatti all’opera nel tentativo di proporre una metodologia di suicidio assistito che mira paradossalmente ad essere un piacevole ed esclusivo incontro con la morte e a spogliarsi dell’aspetto sterile ed ospedaliero.
Una clinica per pochi dove non si va per guarire, ma per morire, probabilmente perché la vita stessa è considerata il male peggiore da chi è troppo debole, codardo e viziato per affrontarla. I personaggi ritratti in questo film non sono infatti malati terminali obbligati a letto, ma bensì reietti, stravaganti e facoltosi individui incapaci di sopravvivere, non impossibilitati a farlo. La costante interazione fra il dottor Kruger, il personale che lo assiste e gli aspiranti morituri che soggiornano nella clinica crea una miscela inesauribile di situazioni tragicomiche ed esasperate dal retrogusto amarissimo, regalandoci un carosello in cui si animano e vivono attraverso i buffi e un po’ mostruosi clienti, i loro capricci, le loro ossessioni e manie degenerate, vivissimi quadri che ritraggono una geniale caricatura di tutte le ansietà e le paranoie che affliggono il singolo nella nostra società, schiacciandolo fino a desiderare di porre fine alla propria esistenza, ovviamente per mano di un altro. L’altro che diviene il capro espiatorio per ogni piccolezza. Inquadrature poetiche incorniciano scene comiche di gusto grottesco, dalla forte componente paradossale, sguaiatamente macabre dove tutto è portato all’esagerazione per farci ridere di qualcosa di sgradevole e grave, come non può far a meno di essere un’eutanasia non necessaria. Il male di vivere in tutte le forme con cui si manifesta ai nostri tempi affiora divertito e divertente, con un sarcasmo dissacrante che si serve del bianco e nero per ottimizzare una commedia dall’umorismo nero, proprio come il colore del lutto. Un piccolo film “punk”, come lo ha definito lo stesso regista, che porta sul grande schermo una sferzata violenta di ironia masochista e sadica, a tratti ambiguamente bonaria ma mai e poi mai buonista nel modo più assoluto.
Diretto dal giovane Olias Barco, Kill me please è uno di quegli outsider che arrivano in sordina per poi restare e fare un bel po’ di rumore. Il film scelto dalla direttrice artistica Piera De Tassis per partecipare in concorso alla selezione ufficiale del Festival Internazionale del Film di Roma, dopo aver sbaragliato la concorrenza aggiudicandosi il Marc’Aurelio d’oro come miglior film secondo gli esimi membri della giuria, non potrà fare a meno di far parlare a lungo di sé per l’inaspettato, quanto meritato, successo ottenuto ma soprattutto per il tema controverso e delicato di cui questa coraggiosa e riuscitissima black commedy si prende spudoratamente gioco.
VOTO: 3,5 / 5
Articolo del
10/11/2010 -
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