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Claudio Capellini
Una vita tranquilla
Noir, durata: 105' - Italia, Germania, Francia
2010
01 Distribution
di
Davide Marchioni
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Vive in Germania da dodici anni e si è ricostruito una vita. Ha aperto un ristorante tra i boschi dove cucina il cinghiale cacciato insieme con i granchi, tanto sono tedeschi e mangiano tutto<. Ha un presente sereno ed un futuro pieno di progetti, ma è nel suo passato che si nasconde l’insidia. In quel passato Rosario sembra avere segreti nascosti perfino a sua moglie e a suo figlio Mathias; ma quel passato improvvisamente si ripresenta in maniera drammatica, allorché al suo ristorante arrivano due giovani italiani. Uno è suo figlio, che non vedeva da quindici anni: da quando cioè Rosario, potente e feroce capo camorrista, dovette fuggire dal casertano per salvare la sua vita e quella dei suoi famigliari.
Una vita tranquilla di Claudio Cupellini è un film che funziona a metà: la storia snocciola bene ombre e nebbie della coscienza umana, che cerca riparo tra i boschi di Germania e i paesini cosi perfetti e funzionali (notare il canile in cui si reca Rosario con la famiglia per scegliere un cane: assolutamente civile, a differenza dei nostri) ma che riparo non può trovare da se stessi. Si può fuggire lontano dai nostri luoghi del peccato, ma non si riuscirà a fuggire cosi lontano dai nostri ricordi che prima o poi ci costringeranno a fare i conti con quel passato. In questo la metafora del film funziona bene: cosi come funziona bene nell’utilizzare come sfondo fatti di cronaca attuali, che riguardano la vendita e lo smaltimento dei rifiuti, con relativo traffico criminale a farne da gestore, tra il nostro sud Italia e la Germania. Funziona per buona capacità del racconto di creare la giusta suspance, ed il merito del regista è quello di strutturare la storia passando da un inizio di quasi commedia ad un crescendo di drammaticità degli eventi che lo portano ai confine del noir, cupo e desolato. Ed infine funziona benissimo per la recitazione degli attori: i due italiani (di cui il figlio di Rosario ha straordinaria somiglianza con Roberto Saviano) sono bravissimi e Tony Servillo come sempre è monumentale. Bastano alcune inquadrature in primo piano ed alcune sue smorfie del viso che raccontano del dolore o della tensione provata dal personaggio a trasportare immediatamente lo spettatore dentro la storia, e a far capire cosa vuol dire essere Attori di teatro prestati al cinema.
Funziona meno per certi passaggi del racconto: in particolare quelli finali, ove gli eventi narrati (corsa in autostrada e telefonata alla moglie) sembrano avere incongruenze che ne minano la credibilità. Funziona meno per l’originalità della storia, perché è inevitabile, vedendo il film, pensare a Servillo come a quel che fu Titta Di Girolamo delle Conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino. Il quale sembra con i suoi film aver già ispirato alcuni giovani registi a seguirne le orme, compreso la continua scelta dell’attore protagonista, cioè quel Tony Servillo che continua a stare al gioco sobbarcandosi la responsabilità di mascherare, con le sue strepitose interpretazioni, lacune di regia o di racconto che non sempre convincono. E che con questa prova d’attore ha appena vinto come miglior interprete maschile alla Festa del cinema di Roma.
Speriamo solo che un uso troppo prolungato del Servillo attore in personaggi non così dissimili tra loro non finisca per assuefare lo spettatore portandolo all’indifferenza e ad usurare le sue immense qualità.
VOTO: 3/5
Articolo del
12/11/2010 -
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