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Inquietante. Inquietudine sovrannaturale, per l’esattezza. M. Night Shyamalan torna sul suo campo da gioco preferito: quello del mistero, della recondita follia umana e delle nostre più ancestrali paure.
Devil è il primo tassello di un puzzle più grande: The Night Chronicles, una trilogia del terrore e dell’inspiegabilità razionale, un progetto che riporta il regista indiano a seminare di nuovo nel terreno della dimensione più prettamente umana. Dove E venne il giorno e The Last Airbender offrono un intreccio d’ampio respiro, Devil propone, invece, un ritorno ai personaggi e al loro circoscritto incedere. La storia scritta da Shyamalan è proprio questo: un breve ma intenso (terrificante) percorso di redenzione che un ristretto gruppo di individui deve risolvere di fronte al peggiore dei nemici, Satana in “persona”.
Ma in soldoni che diavolo (!) di film è questo? Innanzitutto, Devil è un thriller capace di trattenere lo spettatore legato alla poltrona fin alle battute finali orchestrandosi su una struttura ad orologeria basata su multipli colpi di scena (alcuni di questi, invero, piuttosto prevedibili) che, tra l’altro, ci sconsiglia di svelare, in questa sede, alcun particolare sulla trama. Sarebbe un delitto imperdonabile, e noi il diabolico tentatore vogliamo tenercelo ben distante. Detto questo, il film, pur non esaltando o compiendo particolari miracoli, riesce a svolgere il suo sporco lavoro, perdendo però punti proprio in sede di regia e di scrittura. Esattamente in quei buchi lasciati da Shyamalan rispettivamente a John Erick Dowdle e Brian Nelson (praticamente due esordienti per il cinema di un certo livello, se si esclude nel caso del primo il remake di Rec) evidentemente in maniera forzata in seguito ai lavori di adattamento della serie Avatar, vuoti che si palesano in alcune sequenze dirette in maniera un po’ scolastica o addirittura, di contro, troppo radicale (la scelta di capovolgere i fotogrammi dell’introduzione è si straniante e vagamente simbolica, ma anche piuttosto debole ed insulsa) ed in altre scelte che sanno troppo di cliché. Difetto condiviso dalla sceneggiatura di Nelson, la quale sembra prendere qua e là spunto da pellicole inflazionate come Final Destination e Saw ed inoltre non offre particolare profondità nei dialoghi (uno dei maggiori pregi del cineasta indiano). Mezzo punto in più invece grazie alla splendida ed efficacissima colonna sonora firmata da Fernando Velázquez, già apprezzato in The Orphanage
Insomma, una buona storia, un buon film e discretamente interessante (inquietante?) base di partenza per un progetto (i Chronicles) che potrebbe soddisfare più di un palato, anche perché si parla di un sequel di Unbreakble come chiusura del ciclo.
VOTO: 3/5
Articolo del
17/11/2010 -
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