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Dopo il fugace ritorno oltre oceano nella sua Manhattan, che aveva ispirato l’ottimo Basta che funzioni, Woody Allen decide di insistere nella sua parentesi europea e riapproda a Londra. E fa male, perché nonostante il passaggio dal nuovo al vecchio continente non abbia quantitativamente intaccato la sua vena artistica (continua a scrivere e dirigere con cadenza annuale come sempre), il solo film degno di nota che è riuscito a sfornare dalla sua ispirazione europea è stato a mio avviso Match Point: e parliamo del 2005, cioè di cinque anni fa. E non basta appellarsi, come spesso ha fatto in passato, a frasi di Shakespeare (qui si inizia con una riflessione tratta dal Macbeth: "La vita è il racconto di un idiota, piena di rumore e furia, che alla fine non significa nulla") per dare al film una consistenza intellettuale alla quale indubbiamente ci ha abituati nella sua lunga carriera.
La storia è quella di due coppie in qualche modo scoppiate (sai che novità..). Gemma Jones è una anziana signora benestante abbandonata dal marito Anthony Hopkins, preso dalle manie del tempo e alla ricerca di una seconda giovinezza che lo porta a scegliere di sposare una giovane ed appariscente prostituta dalla quale cercherà il figlio maschio che non ha avuto. La loro unica figlia, Naomi Watts, è invece sposata con un medico mancato e scrittore dal passato successo, Josh Brolin, che non esita a spiare dalla finestra la bella dirimpettaia indiana Freida Pinto (quella di The Millionaire); Naomi sogna di aprire una galleria d’arte e si innamora del bell’Antonio (Banderas), suo datore di lavoro, che però ovviamente non contraccambia. La povera Gemma non trova soluzione migliore che andare da una chiromante truffaldina, che le predice un roseo futuro e la ricarica di speranza e di whisky.
In questa commedia dove tutti tradiscono tutti, nessuno vive la vita che vorrebbe: ognuno è proiettato fuori da quella dimensione di coppia che sembra essere il luogo delle incomprensioni anziché il naturale riparo dal mondo. Ma anche fuori ci sono i venditori di illusioni: cartomanti o tavoli di sedute spiritiche possono far pensare ad una dimensione mistica, come dire che la vita non ci potrà mai soddisfare se non la alimentiamo con sogni ed illusioni, compresa l’illusione di credere, a qualsiasi età, che possiamo incontrare l’uomo o la donna dei nostri sogni. Per farci cosa, se poi tanto le situazioni che la vita ci riserva sembrano essere peggiori di quelle che abbandoniamo, questo il buon Woody non ce lo spiega.
Forse sarebbe il caso che un artista del suo calibro prenda qualche pausa di riflessione (invece lo sappiamo già al lavoro nella Parigi di Carla Bruni che ha voluto sul set del suo nuovo film). Perché al di là della storia, che in realtà nei suoi film è sempre stata un elemento quasi marginale, qui anche i dialoghi e i personaggi non lasciano traccia. Certo, né gli uni né gli altri sono mai banali, perché stiamo comunque parlando di un artista tra i più geniali che traduce in cinema le sue intelligenti e colte riflessioni. Ma è chiaro che proprio per questo da lui ci si aspetta di più, ci si aspetta quella battuta che ci resta dentro e che ci spalanca mondi o emozioni alle quali da soli, noi uomini comuni, non saremmo mai arrivati. Un po’ come quando pensiamo al De Niro di C’era una volta in America o Toro Scatenato o Taxi Driver e lo vediamo poi recitare arrancando in Mi presenti i tuoi. Abbiamo il diritto a rimanere un po’ delusi, o no? Certo, viviamo in un tempo in cui dobbiamo appellarci a tutto pur di rendere le nostre vite meno noiose, anche credere nella reincarnazione e in una vita migliore; anche credere nelle illusioni comprate e pagate in anticipo a cartomanti poco credibili. E noi infatti ci abbiamo creduto: abbiamo comprato l’illusione di vedere un bel film del grande Woody che fu: ma, appunto, era solo un illusione.
VOTO: 2/5
Articolo del
09/12/2010 -
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