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Chiunque tenga d’occhio i principali premi della tv americana (come gli Emmy, ma anche i Golden Globes) si renderà facilmente conto che spesso tra i film televisivi e le miniserie premiati, o semplicemente candidati, c’è sempre più una robusta rappresentanza britannica. Sì, il Regno Unito sa come riuscire a fare dei buoni film televisivi, e da dieci anni a questa parte è riuscito a realizzare degli ottimi prodotti, grazie a registi impeccabili e a superbi attori la cui solida scuola teatrale non ha forse eguali nel mondo.
I due presidenti è un film televisivo di provenienza e qualità suddette: da noi è uscito al cinema, e forse questa, più di ogni altra, è prova della sua validità. Il bravo Richard Loncraine dirige (quale appassionato shakespeariano può dimenticare il suo Riccardo III nazi-moderno con Ian McKellen?) una storia sentimental-politica del rapporto tra due grandi della recente attualità: Tony Blair, premier laburista inglese, e Bill Clinton, presidente democratico americano. Il buon vecchio Winston Churchill sostenne per primo che ogni primo ministro di Sua Maestà avrebbe dovuto stabilire una special relationship col capo di stato d’oltreoceano, in barba alla guerra che i due paesi si erano fatti un secolo e mezzo prima…
Il film mostra speditamente dunque il nascere della scintilla “amorosa” tra Blair e Clinton, favorita da un progetto politico comune quasi utopistico (la centro-sinistrizzazione del mondo), attraverso le sue varie fasi. L’iniziale sudditanza psicologica di Blair nei confronti di Clinton, quasi una venerazione: timido, quasi incredulo premier di un partito resuscitato dopo anni di strapotere delle destre britanniche, al cospetto del titano americano, accattivante, quanto a tratti ambiguo e brusco uomo di potere. L’incrinatura dell’affare Lewinsky porterà però ad una graduale riaffermazione dell’inglese, che arriverà ad un testa a testa storico con Bill in occasione dei genocidi serbi in Kosovo, crisi umanitaria che verrà risolta (parzialmente) dalla strategia di successo del primo ministro.
I giochi di potere mondiali dei due pezzi da novanta sono quindi visti, ancora per opera del veterano sceneggiatore Peter Morgan (The Queen, Frost/Nixon) in maniera assolutamente coinvolgente, sbirciando tra le pacche sulle spalle, le partite a golf, le rilassanti cenette a quattro (con le rispettive consorti), e le conversazioni in pigiama. Lo spettatore, affascinato e un po’ disorientato di fronte ad una rievocazione storica di personaggi ancora viventi, si domanda se i veri momenti decisivi del potere mondiale funzionino realmente così (e nel caso, come faccia lo sceneggiatore a saperlo), ma in fondo poco importa.
Una menzione speciale, come sempre nelle pellicole inglesi, va riservata agli attori, complici del trascinamento di chi guarda nell’intimità di questi grandi eventi: l’adorabile Michael Sheen, per la terza volta (!) nei panni di Blair in sette anni, e un irriconoscibile Dennis Quaid canuto e accigliato nei panni di Clinton, che fornisce un tocco di ambiguità ad un personaggio apparentemente esente da lati oscuri. VOTO: 3,5/5
Articolo del
20/12/2010 -
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