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Sud est asiatico: Marie Lelay (Cecile de France), una popolare giornalista francese è in vacanza con il suo fidanzato quando l'immensa onda dello tsunami si abbatte sull'isola dove si trova devastando tutto. Marie viene travolta come ogni altra cosa, lotta per riprendere fiato ma viene sopraffatta. Quando passa l'onda sembra morta, ma non lo è. La morte l'ha sfiorata, catturata per qualche minuto, poi l'ha lasciata sopravvivere. Così Marie torna a Parigi e cerca di riprendere il suo programma televisivo di successo, ma la sua vita è sconvolta da quell'episodio e non sarà mai più la stessa di prima. San Francisco, California: George (Matt Damon) è un modesto operaio americano, che ascolta i racconti di Dickens e che ha un rapporto particolare con la morte e con l'aldilà: riesce a stabilire un contatto con i morti, e questo suo dono potrebbe rappresentare la sua fortuna, come vorrebbe il fratello, mentre lui lo considera la sua condanna. Londra, sobborghi popolari: Jason e Marcus (George Mc Laren e Frankie Mc Laren) sono due gemelli, tra loro legatissimi soprattutto perchè la loro madre è tossicodipendente e così dovranno essere affidati ad altra famiglia dai servizi sociali. Quando Jason esce per comprare medicine alla madre, viene aggredito da una banda di ragazzi più grandi, e per fuggire viene investito e muore.
Non è l'ultimo film di Inarritu, quello di Amore Perros, 21 Grammi e Babel, per intenderci. Siamo nel nuovo film diretto da Clint Eastwood e nato da una idea dello sceneggiatore Peter Morgan, che avendo da poco perduto un caro amico in un incidente, si è posto come molti quelle domande che spesso ci facciamo quando perdiamo qualcuno a noi caro: dove si va, dopo la morte? Cosa c'è dall'altra parte? Quale sarà da quel momento in poi la nostra relazione e il nostro ponte di comunicazione con la persona scomparsa? Domande che fanno da tema portante al film, costruito come si è visto su tre storie in tre diverse parti del mondo, con tre protagonisti che nulla hanno a che vedere tra loro se non, appunto, il contatto con la morte. E sarà proprio questo denominatore comune ad avvicinare i personaggi, che hanno approcci diversi con la morte e che danno perciò tre angoli visuali differenti con cui fornire allo spettatore una visione ovviamente complessa del rapporto tra la vita e l'aldilà, alimentando giustamente ulteriori dubbi senza dare risposte.
Così Marie, che per la sua professione, è abituata ad indagare basandosi su fatti, storie, foto, documenti, interviste, di fronte al mistero della morte che l'esperienza vissuta le ha messo davanti, si sente smarrita e tenta di esorcizzare questo suo disagio scrivendo un libro su quanto le è successo. Marie è lo sguardo che ha visto la morte. George invece la morte la vede, ma ne farebbe volentieri a meno, mentre il piccolo Marcus la vuole andare a vedere per stabilire un contatto con il suo gemello morto. In questo triangolo di visioni il tutto si gioca nella sottile linea di demarcazione tra la presenza e l'assenza, e la sensazione predominante che scaturisce da questo gioco visionario è ciò che durante la presenza, spesso, non facciamo o non diciamo ai nostri cari, cosa che poi scopriamo quando la loro assenza viene a turbarci nei nostri sogni, o incubi.
Film complesso del grande Clint, che esplora la morte nella maniera più accettabile: quella cioè della pluralità dei punti di vista, ben sapendo che qui non siamo nel campo della scienza ma nel campo del mistico. Però stavolta non convince del tutto: perchè si ha come l'impressione che abbia preferito la forma alla sostanza: gli elementi cinematografici offerti allo spettatore per condurlo al contatto con la morte (lo tsunami, le bombe nella metro di Londra, la minaccia di morte di Al Qaeda su internet) sembrano gettare fumo negli occhi su una narrazione che, nonostante le tematiche affrontate, si mantiene fredda, distante, senza riuscire a decollare né a coinvolgere più di tanto. Per carità, un mezzo passo falso al regista di grandissimi film come Mystic River, Gran Torino, Gli spietati e Million dollar baby lo si perdona volentieri. Ma anche per lui (come già mi è capitato di scrivere a proposito dell'ultimo Woody Allen) la sensazione è che la quantità, prima o poi, finisce sempre per ledere sulla qualità. Pertanto lo aspettiamo di nuovo per un altro dei suoi grandi film: non subito, ovviamente, ma al termine di tutto quel tempo necessario per dirigere film che lascino il segno, come ha quasi sempre fatto finora.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
28/12/2010 -
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