|
Tom Hooper
Il discorso del Re (The King’s Speech)
Drammatico, Storico, 111’ – Regno Unito, Australia
2010
See Saw Films, Bedlam Productions / Eagle Pictures
di
Omar Cataldi
|
|
A suo tempo il buon vecchio Will (Shakespeare) ci ha insegnato più volte quanto contasse l’eloquenza di un sovrano: ad esempio in quel di Azincourt, nel 1415, il discorso ispirato di Enrico V (celebrato magnificamente al cinema da Olivier e Branagh) fu il motore della vittoria inglese sui francesi.
Più di mezzo millennio dopo, nel sinistro 1939, il più improbabile dei sovrani britannici, il balbuziente e schivo Giorgio VI, trascinerà il suo impero alla guerra con la Germania nazista, con un solenne discorso radiofonico che avrà un duplice risultato: rinsaldare la fiducia del popolo nel suo impacciato re, e rinsaldare la fiducia del regnante stesso nelle proprie capacità, col superamento di un imbarazzante handicap.
Una storia più hollywoodiana e degna di Oscar di questa non si poteva trovare, per lo meno non in Inghilterra: sia detto senza sarcasmo, ma con tutta l’ammirazione possibile. E’ sempre gratificante vedere l’Uomo sollevarsi contro le avversità personali e vincere, giungendo al successo. E qui il regista Tom Hooper (insuperato maestro di colossali e pluripremiate biografie televisive come John Adams e Elizabeth I) confeziona un film limpido e pressoché privo di difetti, nella sua estrema semplicità e prevedibilità fornisce allo spettatore esattamente ciò che si aspetta di vedere.
La storia di un timido re “a sorpresa” come Giorgio, benedetto nella sua ascesa al trono non da divine infusioni sovrannaturali, ma da un eccentrico logopedista australiano inviso al protocollo di corte è decisamente materia da grande cinema. Un cast straordinario aiuta: a cominciare dal superbo protagonista, Colin Firth (con che coraggio oseranno negargli l’Oscar?), un attore solidissimo che recita magistralmente da quasi trent’anni senza che nessuno se ne sia mai accorto. Il suo “Bertie” (soprannome del re per gli amici) è un orsacchiotto triste, isolato dal mondo dalla sua balbuzie, e rassegnato alla sua condizione: il regista lo riprende, in momenti significativi, ai margini dell’inquadratura, sullo sfondo di carte da parati più o meno neutre. Perché questo spesso deve essere stato il suo ruolo nella famiglia reale: una carta da parati, incapace di vita sociale. Al suo fianco brilla per contrasto, tanto per citare l’altra colonna del cast, quell’impertinente di Geoffrey Rush (l’attore che ha vinto pressoché tutti i principali premi di recitazione del pianeta) come logopedista del re: psicologo più empirico che accademico, che scava negli insondabili trascorsi mentali del sovrano alla ricerca dei traumi e blocchi.
Il discorso del re è un film che si presta a metafore automatiche, certo: la più solare è la vittoria dell’Uomo sulle sue difficoltà personali; la più contingente è la forza della parola che supera la balbuzie nell’affermare la libertà e il diritto al conflitto contro la bellicosa dittatura germanica. Ma a monte di tutto è un film sulla capacità umana del parlare, del linguaggio: un uomo dalle parole spezzate è un uomo spezzato, un uomo a metà. La parola è uno dei pilastri dell’umanità dati così per scontati che ci si accorge della loro importanza proprio nel momento (tragico) in cui vengono a mancare. Come l’ossigeno, come la libertà.
VOTO: 4/5
Articolo del
03/02/2011 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|