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Sfruttando la possibilità offerta dal celebre balletto Il lago dei cigni, in cui l’étoile deve portare in scena due ruoli opposti, due personaggi antagonisti, Darren Aronofsky conduce una personalissima indagine sul tema del doppio, presente nel cinema sin dai suoi albori. In questo caso è la ballerina Nina, interpretata magistralmente da una divina Natalie Portman come sempre in stato di grazia, a dover intraprendere un pericoloso viaggio alla ricerca della sua metà negativa. Un fardello pesantissimo che le è però indispensabile, non solo ad ottenere il ruolo più importante di una carriera a cui si dedica con devozione quasi maniacale, ma soprattutto per completarsi, dato che l’immagine non è tutto e la perfezione e la bellezza sono uno stato mentale, qualcosa che va ben oltre l’apparenza, un luogo ideale dove il bianco e il nero si annullano a vicenda per il raggiungimento di uno scopo supremo.
Nel tentativo di dar vita al ruolo del cigno nero Nina va alla scoperta di se stessa, di un’essenza ignota che pulsa sotto la sua pelle, ma che da sempre è stata repressa. Un’immagine speculare distorta che la ragazza deve affrontare per dar vita ad una nuova Nina, capace di assaporare spicchi della realtà finora sconosciuti che le apriranno gli occhi e le ali sulla duplicità della sua esistenza. Lasciando affiorare all’esterno i suoi impulsi più oscuri per abbandonarsi e perdere il controllo la protagonista distrugge se stessa per ricrearsi in una nuova veste. Nina sembra essere una vittima designata: tormentata dalle sue ossessioni, prigioniera dell’eterna insoddisfazione, schiacciata da una madre onnipresente ed oppressiva, provocata dal suo maestro. Una fragile creatura che però, proprio quando è sul punto di crollare, si affida alla sua rivale che la accompagnerà in un vorticoso percorso fatto di rivelazioni che conduce verso l’autodistruzione, ma che almeno concede finalmente a Nina la libertà di scegliere il suo carnefice. Il cigno nero appare come un labirinto di specchi che confonde, ma non intrappola ed anzi esplora i meandri più bui e torbidi della mente. Come il ring in The Wrestler, il palco è il luogo dove il “performer” si trova costretto a scontrarsi con le grida di orrore del proprio io, messo a tacere da una finzione che l’individuo ha voluto e protratto fino a fare in modo che quest’ultima si sostituisse al reale, in cerca di protezione. Ma quando è il lato oscuro della coscienza a ribollire e venire a galla, non ci sono specchi o barriere in grado di contenere la sua tragica eruzione che consuma dall’interno e ci si perde annullandosi nel conflitto intestino. Il prezzo da pagare per riuscire finalmente ad incarnare se stessi può essere troppo caro. Lo sguardo della mente, i riflessi deformi che arrivano ai nostri occhi così come gli specchi di una sala da ballo possono farci perdere di vista il valore dei sacrifici a cui siamo disposti, le loro conseguenze e la ragione.
Il cigno nero è un thriller psicologico che sa sfruttare al meglio anche l’elemento della fisicità per amplificare la suspense e per dare un corpo tangibile all’erotismo, al dolore e alla paranoia, che con un ritmo coinvolgente e trascinante danzano insieme in una quinta scenica fatta di ambiguità e visioni suggestive, cariche di tensioni e simboli dai fortissimi richiami. Un film diretto superbamente in cui ogni singola componente deve scontrarsi con il suo opposto in un gioco al massacro ricoperto da un velo di elegante raffinatezza. In questa pellicola, che si è aggiudicata meritatamente 5 nomitation agli Academy Awards, Aronofsky proietta (anche grazie ad un cast di attori eccezionali) le caratteristiche che hanno segnato i suoi film precedenti, riuscendo a creare una cosmogonia della sua così singolare filmografia, fatta di temi ricorrenti, controversi e proposti con punti di vista e prospettive spesso disarmanti, che ne Il cigno nero si assemblano in una costruzione imponente, maestosa e spaventosa, dove risuonano eco agghiaccianti eppure seducenti. Una struttura, dotata di vita propria, in cui si precipita dai lussuosi esterni scintillanti fino ad un interno da incubo tra brividi e lacrime, che sa essere al contempo reggia e tetro sotterraneo. Ma a cui di sicuro non mancano le solide fondamenta di un vero capolavoro.
VOTO: 4/5
Articolo del
17/02/2011 -
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