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E' il paese dei balocchi l'America come appare agli occhi tredicenni di Tracy, che osserva dall'autobus vetrine e cartelloni pubblicitari mentre insegue Evie, il suo modello. Stessa età, stessa scuola, Evie è la ragazza che ha più successo con i ragazzi e che più di tutte assomiglia alla falsa realtà che la pubblicità propone a maschi e femmine. Ed e' come Evie che Tracy decide di vestirsi, usando lo stesso scrupolo nei particolari con cui un buon soldato cura la divisa che lo rende uguale agli altri; una divisa da 'ragazza libera' che così può essere accettata nel gruppo. Inseguendo lei, Tracy cerca la libertà ma finisce per essere solo l'imitazione di un'imitazione. In più (ma Tracy non può capirlo, e anche la regia ce lo svela progressivamente e per accenni), Evie è invidiosa di Tracy, e vuole strapparla all'affetto della famiglia; un affetto per la verità più chiesto che ottenuto, ma chiedere è già avere qualcosa che Evie non ha. L'invidia di Evie per Tracy e l'ammirazione di Tracy per Evie sono la base per un rapporto di complicità in cui le due ragazzine arrivano, letteralmente, a farsi male a vicenda, a porre la violenza quasi alla base della loro amicizia (che altrimenti assomiglierebbe a quella, in fondo ancora sana, fra Lucignolo e Pinocchio). Il rifiuto del cibo, l'autolesionismo, i vari modi di ottenere lo stordimento, il piercing, il furto, le esperienze precoci con i maschi, sono tutti aspetti di questa volontà di affermazione di sé contro il mondo che porta invece all'affermazione violenta delle mode del mondo su di loro, sulle loro esistenze, sulla loro stessa carne. Una violenza che sulle ragazze è, rispetto a quanto accade ai maschi, più radicale, quasi espressione di un odio più grande. Grande merito della regista Hardwicke è poi di aver trattato questi argomenti senza costruire un film moralista (dove cioè il giudizio morale è una verità che sta prima della realtà e quasi la cancella), né un film fintamente realista (di quelli che indugiano su particolari scabrosi fingendo di denunciarli per solleticare stupide curiosità); la forza di Thirteen è invece nella capacità di raccontare una storia che, seppur esemplificativa di tendenze diffuse, non affoga le protagoniste nello stereotipo dell'adolescenza 'periodo difficile' (quella dell'adolescente "naturalmente" agitato/agitata è un'immagine omologante anch'essa, in definitiva funzionale proprio a far credere alle ragazzine e ai loro amici maschi che sia normale voler essere magre come le modelle e lo stesso sedere di Jennifer Lopez, o almeno gli stessi jeans per contenerlo). Il fatto poi che il film nasca dall'esperienza reale di una adolescente (Nikki Reed, autrice principale di soggetto e sceneggiatura, nonché interprete della 'cattiva' Evie) aggiunge interesse al film ma non lo appesantisce con pretese da 'cinema verità'. Perché l'unica verità è che a tredici anni si ha ancora bisogno di essere tenuti per mano da qualcuno di più grande per poter essere liberi di lasciarla; e che agli adulti che hanno questo compito non resta molto tempo.
Articolo del
03/12/2003 -
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