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Ci sono voluti quattro lunghissimi anni: è questo il tempo trascorso dalla regista per portare avanti il progetto de I ragazzi stanno bene, ma le riprese sono durate solo ventuno giorni. Opera numero quattro del curriculum di Lisa Cholodenko - regista a stelle e strisce, che si è sempre confrontata con delle gradevoli storie introspettive - dopo aver fatto il giro dei vari Festival, prima al Sundance, poi al Festival di Berlino e infine al Festival Internazionale del Film di Roma, esce finalmente nelle sale italiane con più di un anno di ritardo, ennesima conferma della schizofrenia del nostro sistema distributivo. Una coppia di fatto composta da due donne, una casa, un cane e due figli adolescenti avuti dal seme di un donatore anonimo attraverso la fecondazione assistita: sono questi gli elementi cruciali per un opera spigliata e spontanea che affronta tematiche attuali, molto serie, come il nuovo concetto di famiglia sviluppatosi con gli scenari offerti dalla medicina della riproduzione, ma in modo anche divertente. La commedia è stata scritta dalla regista stessa a quattro mani con Stuart Blumberg, ispirata alle vicende della vita di entrambi (Blumberg stesso è stato donatore di seme e anche la Cholodenko con la sua compagna ha avuto un bambino attraverso un donatore) e da quelle dei loro amici.
I ragazzi stanno bene immerge lo spettatore in una storia universale. Nic/Annette Bening e Jules/Julianne Moore sono delle genitrici molto brave; nel plot non c’è mai la consapevolezza esplicita che si tratti di due donne, dando vita così a un ritratto sincero della contemporaneità, anche nelle sue raffigurazioni più grottesche e esasperate (vedi per esempio la scena di sesso etero tra Jules e Paul) e facilmente ci immedesimiamo nei personaggi del film perché tutti sappiamo cosa significa vivere in una famiglia, ne conosciamo le gioie e le difficoltà, le complicazioni e il calore. A ben vedere tutte le famiglie affrontano le stesse prove, i mutamenti dovuti allo scorrere del tempo e le difficoltà per mantenere unita la famiglia. La Cholodenko nel raccontare le gioie e i dolori del ménage familiare ne mette in risalto gli aspetti più ironici e talvolta iperbolici, cercando di evitare la collisione con lo stereotipo. La saggezza della Cholodenko sta proprio nell’utilizzare una narrazione con uno stile realista, ma allo stesso tempo assai divertente, decisa a rovesciare sempre gli avvenimenti, anche quelli più problematici, utilizzando con grazia l’ironia. L’obiettivo predeterminato dalla regista è proprio quello di sottolineare il concetto di universalità che sta alla base del film, esaltare le somiglianze di questa coppia lesbica con quelle di una qualsiasi altra famiglia, mostrandoci come i costumi e i comportamenti in fondo siano gli stessi. I figli di Nic e Jules, arrivati alla maggiore età vogliono rintracciare il loro papà biologico, e naturalmente questo farà deflagrare una serie di situazioni rocambolesche che creeranno scompiglio all’interno del nucleo familiare ma ci insegneranno molto sui pregiudizi e su come l’amore sia universale anche all’interno di una famiglia non convenzionale, che si allontana molto dall’immagine del modello della sacra famiglia cristiana. La famiglia della storia è contemporaneamente straordinaria, tormentata e imperfetta come qualsiasi altra famiglia che sia gay o eterosessuale o single.
I ragazzi stanno bene lavora con attenzione allo script, concentrandosi su i dialoghi sempre ben scritti e sulle divertentissime gag. Il tutto è arricchito da un gruppo assai composito di solidi attori che giocano un ruolo di primaria importanza nella confezione del film, miscelando volti noti del grande schermo, come le già citate mamme Annette Bening e Julianne Moore e Mark Ruffalo e giovani promesse come Mia Wasikowska (protagonista di Alice in Wonderland di Tim Burton) e Josh Hutcherson, a nostro avviso tutti elementi perfetti per decidere di passare una bella e divertente serata al cinema.
VOTO: 3,5/5
Articolo del
15/03/2011 -
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