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La paura più grande generata da Il Rito non è in sala, non è durante questionabili scene di esorcismo (pur ben eseguite tecnicamente). No, la paura è culturale: l’americano seminarista e l’anglosassone esorcista esportato si trovano in Italia, la storia si svolge in Italia e una delle più peculiari protagoniste è una talentuosa italiana; eppure la fotografia del nostro paese è quella della triste cafoneria, del bigottismo, della presa in giro. Le risate amare degli spettatori presenti sono un monito alla tristezza di come gli stranieri ci vedono. Se poi si cercano dettagli riguardo una co-produzione, che sembrerebbe ovvia date le location e la forte presenza di italiani nel cast, la delusione si moltiplica: ovunque si cerchi la risposta è sempre la stessa, la produzione è Usa. Nel panorama dei recenti tagli alla cultura che coinvolgono in maniera devastante la nostra industria cinematografica il film fa paura, un’immensa paura di tornare nuovamente verso i cinepanettoni senz’arte, parte o valore, proprio in un momento di apparente rifioritura della produzione casalinga.
Passiamo ora alla cinematografia, alla storia, agli attori. La storia, tratta dal primo libro di Matt Baglio, non è originale: per forza di cose e con qualche aggiustamento per il cinema e, soprattutto, perché non ci fa vedere assolutamente nulla di nuovo. Anche chi si è limitato a vedere L’esorcista in gioventù capisce e sa benissimo cosa accadrà in questo film, che di sorprendente ha solo un mulo dagli occhi rossi. Peccato la sorpresa non sia di quelle positive. Effetti sonori classici e tipicissimi dell’horror più tradizionale, make up spaventosamente non spaventoso e performance borderline per i due grandi nomi presenti nel cast, Anthony Hopkins e Rutger Hauer. Il protagonista, Colin O'Donoghue, è sconosciuto al pubblico e facilmente, velocemente e senza rimpianti dimenticabile; mentre la giovane italiana Marta Gastini è ottima, eccellente nonostante la monotonia del copione, mai esagerata nel contesto di possessione e superba nei dettagli.
Ciò che più lascia sconcertati è il subdolo tentativo di rendere The Rite un film sulla fede e sulla formazione, quando in realtà la semantica filmica, la recitazione e i dialoghi tendono al fumettistico. Nella trasformazione da wallflower senza fede a prete esorcista del protagonista, la regia e la scrittura intortano il pubblico in uno Spiderman orrorifico, con tanto di discorso sulle responsabilità e destino. C’è quel momento in cui lui realizza di avere il potere, di poterlo usare, di credere, con il primo piano topico e la seguente scena in cui la telecamera ruota attorno all’esorcismo in corso, un pan drammaticamente inutile ed inefficiente.
Il Rito è tutto ciò che non ci si deve aspettare da un horror: di conoscere già il finale, di non essere spaventati, sorpresi, di riuscire a dormire e mangiare benissimo appena finita la visione.
Da un punto di vista puramente tecnico, la grammatica del cinema, questo film è molto ben costruito. Le luci sono quasi sempre perfette ed evocative, l’uso dei colori caldi e freddi nei momenti appropriati sottolinea l’intento della scena ed è, forse, l’unico punto che in realtà costruisce un pizzico di ambiente horror, che provoca un certo e giusto disagio.
VOTO: 2/5
Articolo del
16/03/2011 -
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