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Selezionato come pellicola di apertura per il 54esimo Film Festival di Londra, Never Let Me Go è il secondo film tratto da un romanzo dello scrittore giapponese Kazuo Ishiguro (il primo fu Quel che resta del giorno). Sfida importante quella affrontata dal regista Mark Romanek, dato che il romanzo portato sul grande schermo è stato considerato dalla rivista Time tra i cento più belli dal 1923 ad oggi.
Siamo in Inghilterra, nel 1978, e siamo dentro il bellissimo Hailsham college, nel pieno della verde campagna inglese. Sembrerebbe il classico college a cui la cinematografia di sempre ci ha abituati: regole severe, insegnanti rigidi ma efficaci, bambini fortunati di poter studiare in un contesto prestigioso e preparati ad un futuro di quasi certo successo. Ma non è così: in realtà quei bambini sono cloni, e la loro vita è predestinata ad un percorso breve in cui tra qualche anno saranno soggetti a donazioni di organi, fino al completamento di quel percorso che sancirà la loro morte. Tra quei bambini ci sono Katy, Tommy e Ruth che sembrano provare sentimenti umani: amore, gelosia, desiderio, pulsioni sessuali. Ma come possiamo essere certi che quei sentimenti siano autentici, se tutto nasce da una sperimentazione destinata a migliorare il genere umano?
Ovvio che in questa narrazione ci siano tutte le grandi tematiche del nostro tempo: la clonazione, la bioetica, la sopraffazione della scienza sul singolo individuo e sui suoi sentimenti. Si può davvero perseguire la strada della clonazione e della donazione degli organi al fine di creare un genere umano sempre più perfetto e per questo sempre più disumano? E quando si producono cloni a nostra immagine e somiglianza, quei cloni saranno completamente avulsi da sentimenti umani e dunque utilizzabili per scopi scientifici, oppure saranno uomini come noi, in grado di provare gioie, sofferenza, rimpianti? Saremo in grado di capire, come nel film, attraverso le opere d’arte dei cloni, se questi hanno un anima?
Sorretto dal romanzo sottostante, il film di Romanek si dipana tra le tipiche atmosfere inglesi, una splendida colonna sonora ed una perfetta interpretazione non solo dei tre protagonisti, Carey Mulligan, Keira Knightley e Andrew Garfield ma anche di una marginale e magistrale Charlotte Rampling. Nonostante tutto ciò mi sentirei di considerare la sfida di cui sopra non del tutto vinta. Perché spesso il ritmo della narrazione appare bloccato, e la storia sembra quasi non decollare mai. Il tutto rimane molto misurato, e forse era proprio questo l’intento del regista: ma di fatto si penalizzano le emozioni, cioè quelle che un buon film deve sempre suscitare nello spettatore. E questo indipendentemente dal fatto che a suscitarle possano essere gli attori, la storia, i contesti narrati o addirittura... dei cloni!
VOTO: 2,5/5
Articolo del
24/03/2011 -
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