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Non è mai facile raccontare la propria vita quando capiamo che la morte è venuta a prenderci per mano, per portarci in quell’altrove che ognuno di noi immagina a modo proprio. Non è facile soprattutto per chi ha avuto una vita intensa, perché quasi mai le sole parole rendono giustizia ad avvenimenti, grandi o piccoli che siano, vissuti in prima persona e accompagnati dai sentimenti che quegli avvenimenti hanno scatenato in noi. Almeno, per la maggior parte degli uomini, non è facile. Non per Tiziano Terzani, uno dei più grandi giornalisti degli ultimi cinquant'anni, che affronta con estrema serenità la sua malattia terminale, che preannuncia la sua dipartita dal corpo e che gli offre l’occasione per raccontare la sua vita al figlio Folco, in modo da passare il testimone a qualcuno che possa continuare a camminare su un sentiero di cui Tiziano aveva segnato il solco.
Vita intensissima quella vissuta da Terzani padre, che lo ha visto protagonista dei maggiori avvenimenti dagli anni Sessanta in poi. Così, di fronte ad un piccolo registratore e ad un microfono, nella quiete estrema della sua villa di Orsigna, sulla collina toscana, nel pistoiese, il sofferente ma sorridente Tiziano racconta al figlio, e dunque a noi tutti, delle sue umili radici sociali, dell’innamoramento per la donna che sposerà, dei suoi brillanti successi nello studio, che rappresentarono il suo riscatto sociale e che gli permisero di recarsi in America con borse di studio. E poi della sua impagabile curiosità e del suo irrefrenabile desiderio di vivere, da giornalisti sul fronte, quelli che erano i grandi eventi del contesto storico di quel tempo. Siamo agli inizi degli anni Settanta, e Terzani riesce ad ottenere dal settimanale tedesco "Der Spiegel" la possibilità di recarsi in Asia come corrispondente. Si trasferisce, con sua moglie e sua figlia, dapprima a Singapore, dove seguirà da vicino la guerra in Vietnam; poi ci furono gli anni della Cina, altro grande paese dove visse con la famiglia (poi ne fu espulso), poi il Giappone, Bangkok, l’India, l’Unione Sovietica.
Il racconto/intervista di questa vita straordinaria è diventato dapprima un libro. Ora il film di Jo Baier sceglie un taglio coraggioso, che è quello di essere fedele al libro. E cioè racconto, parola, dialogo, senza immagine che accompagna il ricordo, senza scena che accompagna l’emozione. Perché l’emozione è tutta nelle parole del racconto del protagonista: lì ci sono i sentimenti, c’è la rabbia per aver visto corpi dilaniati nelle guerre senza aver potuto far altro che raccontarli, c’è l’emozione per aver assistito al più grande esperimento di ingegneria sociale nel mondo (la rivoluzione culturale cinese di Mao); c’è la delicatezza del pensiero che viene trasportato sulle ali di una coccinella che si invola sull’immensità di una montagna, c’è la capacità di esorcizzare la morte come tappa obbligata della vita in un percorso più ampio che la comprende ma non la esaurisce ("ci sono passati tutti quelli che sono morti prima di noi"). E’ dunque con uno spirito sereno che la si deve affrontare, consapevoli che è solo il nostro corpo che se ne va, mentre la nostra anima proseguirà nella memoria di chi ci ama.
Difficile dire se il film renda appieno la straordinaria grandezza del personaggio Terzani, perché forse neanche lo stesso libro vi riesce. In quanto, talmente complesse ed ampie sono state le sue esperienze che il modo migliore per parteciparne è quello di leggere i suoi libri (Pelle di leopardo per la guerra del Vietnam, La porta proibita per la sua esperienza cinese, Goodbye Lenin, eccezionale testimonianza del crollo dell’impero sovietico). Difficile scegliere, tra tanto materiale storico raccontato, quale riportare e quale omettere. Ma di fatto si ha un po’ la sensazione che, per chi conosce il personaggio ed ha letto i suoi libri, il film poco aggiunga ed anzi, necessariamente, tolga. Inoltre l’interpretazione di due pur bravissimi attori non è del tutto convincente: quella di Bruno Ganz, che nel ruolo del protagonista spesso non riesce a trasmettere quella sensazione mista di dolore (per la malattia) e di serenità d’animo (per l’appagamento della sua vita) di cui Terzani fu interprete. Mentre Elio Germano appare troppo bloccato nel ruolo di quel figlio Folco che di certo si sentiva oscurato dalla grandezza di un padre ingombrante, ma che di fatto appare svolgere il compitino senza sussulti, che pure avranno caratterizzato gli ultimi giorni di quel figlio di fronte a quel padre, e soprattutto di fronte a quel racconto di una vita così intensa. Certo è che dobbiamo sperare che il film possa essere un'ulteriore cassa di risonanza per far conoscere al grande pubblico quello straordinario personaggio che è stato Tiziano Terzani: straordinario in vita, per la testimonianza storica che ha lasciato a tutti noi come patrimonio comune. E straordinario di fronte alla morte, affrontata con il sorriso di chi sa che quella fine è solo l’inizio di un'altra avventura, comunque la si voglia vedere.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
06/04/2011 -
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