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Sono trascorsi cinque anni da quando Nanni Moretti aveva raccontato, con Il Caimano, una figura di potere forte, con metafore politiche di rara preveggenza (basti pensare alla scena finale in cui il Presidente del consiglio usciva dal palazzo di giustizia di Milano incitando all’odio verso i giudici e la magistratura). Ora, per il suo ritorno nelle sale, ha scelto di raccontare un’altra figura di potere, apparentemente forte. E come per tutti i suoi precedenti film, anche questo farà discutere a lungo per le interpretazioni che se ne daranno, sia da un punto di vista strettamente cinematografico che da un punto di vista metaforico.
La storia in breve: al termine del funerale del vecchio papa, il conclave dei cardinali, dopo varie fumate nere (cioè votazioni che non portano all’elezione del pontefice) elegge il cardinale Melville. Il quale accetta la carica, ma al momento di affacciarsi al balcone di San Pietro per salutare per la prima volta i suoi fedeli in trepida attesa, ha una inspiegabile crisi di panico. Viene allora chiamato uno psicanalista, il migliore, che tenterà di capire e risolvere il problema del pontefice, ma in realtà l’evolversi degli eventi fanno si che il papa riesca a fuggire dal Vaticano per tre giorni, mentre lui viene lì segregato con tutto il resto del conclave in attesa che il papa torni.
Le tematiche che il film affronta sono molte e complesse, ma per prima cosa Moretti sgombra subito il campo da una delle inevitabili e possibili interpretazioni, dato il contesto scelto: non si parla di fede, cioè la crisi che colpisce il papa non è una crisi religiosa; dunque a provare disagio e smarrimento è l’uomo appena eletto, e non la figura del papa come istituzione. Il terreno che invece sceglie Moretti per affrontare le paure, le angosce, la convinzione del non potercela fare di un uomo chiamato ad una grande responsabilità, è quello della psicanalisi, e lo fa, come la storia insegna, contrapponendola alla fede religiosa. Dunque ci si muove sul terreno umano, e su questo terreno spoglia il pontefice dei suoi abiti, lo porta in mezzo alla gente, lo rende per quei tre giorni parte di quella grande comunità che dovrebbe guidare. Mentre lui, lo psicanalista, in quei tre giorni di segregazione in Vaticano, umanizza i cardinali, organizzando loro un torneo di pallavolo, discutendo con loro di scommesse, parlando della sua ex moglie e delle sue banali teorie psicanalitiche, come quella del deficit di accudimento.
Ne viene fuori un film costruito benissimo, ove il contesto scelto è la chiara metafora di un mondo e di un tempo allo sbando. Siamo tutti anime smarrite, e tutti avremmo bisogno di risposte che non riusciamo a trovare né nella fede né nella scienza; avremmo bisogno di guide che ci indichino il cammino, ma in fondo siamo tutti esseri fragili, e anche chi è chiamato a quel ruolo si interroga su chi è realmente, da dove viene, e cosa potrebbe dare agli altri che gli altri non hanno. Ne viene fuori un'interpretazione eccellente di Michel Piccoli, che incarna alla perfezione quel senso di smarrimento che lo porta a desiderare di sparire del tutto, come se nulla fosse successo. Ne vengono fuori scene strepitose da un punta di vista cinematografico, come quella della musica che si spande per le stanze del Vaticano e che attrae e coinvolge i cardinali che danzano seguendone il ritmo e battendo le mani, o come quella in cui il pontefice viene trovato in teatro (sua vera grande vocazione, con chiaro ed esplicito riferimento a papa Wojtyla) come spettatore e applaudito ed osannato come fosse il vero protagonista dello spettacolo. E ne viene fuori soprattutto un messaggio forte alle istituzioni (in questo caso la Chiesa, ma la metafora potrebbe essere estesa facilmente al potere politico) sempre più spesso chiuse in se stesse, che perdono il contatto con le realtà esterne delle comunità che invece dovrebbero interpretare e rappresentare (memorabili in questo senso sono il discorso finale del papa, che finalmente si affaccia a San Pietro, e la risposta dello psicanalista Moretti ad un cardinale, che al posto del torneo di pallavolo, proponeva l’alternativa di un torneo di palla prigioniera: cardinale, palla prigioniera non esiste più da cinquant'anni!).
Il film sarà presentato in concorso al prossimo festival di Cannes, insieme all’ultimo film di Paolo Sorrentino, non ancora uscito nelle sale. E poiché questo deve inorgoglire il nostro cinema in quanto entrambi i registi sono indubbiamente i nostri fuoriclasse dall'indiscusso talento, approfitto dello spunto per fare un piccolo confronto ed un doveroso distinguo. Mentre per il film di Moretti si può sicuramente dire che l’idea dell’ambientazione e del contesto scelto, delle metafore allusorie e felliniane sono certamente geniali, il limite è che il suo approccio è talmente colto, delicato e sottile che può sembrare radical chic. Il che poi, declinato sull’impatto sul pubblico, significa che il film di Moretti (e i suoi film in generale) finiscono per scegliersi il proprio pubblico. Mentre Sorrentino sceglie e racconta personaggi sporchi, che sono anch’essi alla deriva ma che bruciano nella melma dell’umanità e cedono a tutte le umane debolezze (su tutti si pensi a L’uomo in più). Forse anche i film di Sorrentino non sono per tutti, ma di certo sono diretti a tutti, mentre quelli di Moretti sono diretti a chi si fa domande, a chi ha crisi esistenziali, a chi comunque ha il pane da mangiare; quelli di Sorrentino, invece, hanno fame, e il loro urlo di disperazione e disagio proviene dalla pancia prima che dalla testa. E non è una differenza da poco.
VOTO: 3,5/5
Articolo del
19/04/2011 -
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