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America, anni Trenta: c’è la grande depressione, c’è il proibizionismo, c’è una povertà dilagante ed una scarsità crescente di posti di lavoro. La vita è durissima per tutti, figuriamoci per il giovane Jacob, studente di veterinaria, al quale muoiono entrambi i genitori in un incidente. Rimasto completamente solo, senza più neanche la casa che suo padre aveva ipotecato con le banche per permettergli di studiare, Jacob non ha più nulla da perdere, e si incammina lungo la ferrovia in cerca di una nuova vita che non immagina neanche quale possa essere. E’ su quel binario della ferrovia, e su un treno preso in corsa, che la sua vita cambierà totalmente. Perché su quel treno c’è un circo vagante, quello dei fratelli Benzini, e c’è tutto quel mondo variegato di maschere tipico dei circhi, dal nano alla donna cannone, dagli equilibristi agli animali esotici. Ed è in questo nuovo mondo che Jacob troverà l’amore, nel più classico dei triangoli di personaggi: lui, lei, l’altro. Lei è la bellissima Marlena, regina del numero con i cavalli; l’altro è suo marito, August, padrone e despota dell’intero circo, crudele e violento tanto con gli uomini quanto con gli animali. E come nelle più classiche storie d’amore, il lieto fine atteso è dietro l’angolo, e puntualmente arriva.
Tratto dal romanzo di Sara Gruen, l’originalità del racconto non è dunque certamente nella storia sentimentale, quanto piuttosto nell’ambientazione scelta. Nei suddetti anni della Grande Depressione infatti ci fu effettivamente un proliferare di circhi itineranti, che allietavano le inquietanti preoccupazioni di una middle class in crisi economica e sociale, con i loro spettacoli al limite del sogno e della magia. Ovvio che il baraccone mobile, con tutti gli artisti che ne erano parte, portava con se le tristi storie di ognuno di loro: storie di povertà, di frustrazioni, di naturali egoismi per la sopravvivenza; storie di disperazione che rendevano quegli artisti, pagati solo quando si riuscivano a ripianare i debiti del padrone, consapevoli di essere buttati giù dal treno in corsa qualora avessero contraddetto il loro padre-padrone o qualora i debiti fossero aumentati. Questo contesto di disperazione, al limite del disumano, scelto dall’autrice del libro e dal regista Francis Lawrence che lo ha portato sul grande schermo, da la possibilità di scavare a fondo nell’animo umano, mettendo in risalto la sopraffazione della cattiveria o della bontà dei personaggi che, pur provenendo tutti da situazioni difficili e pur approdando tutti alla stessa situazione disagiata, reagiscono in maniera molto diversa.
La struttura narrativa scelta è quella del racconto: è dunque un Jacob ultra novantenne che racconta la sua vita, e in questa formula c’è spazio per un'immensa nostalgia. La voce fuori campo diventa quasi una presenza esterna, sebbene coinvolta appieno nella storia; diventa l’occhio con il quale il regista entra in quel mondo particolare, fantastico, triste e violento del circo, dove tutto è realtà ma al tempo stesso tutto è maschera e metafora. E’ maschera la donna cannone, che non pesa certo duecento chili, ed è maschera Jacob, che si spaccia per il laureato che non è; è realtà la violenza, fisica e psicologica, a cui vengono sottoposti gli animali per l’addestramento ai loro numeri da circo; ed è metafora la crudele sopraffazione dell’uomo che piega ogni animale alla sua volontà, obbligandolo alla gabbia, ad un cibo scadente, ad una umiliazione fisica per poter svolgere il numero davanti al pubblico senza nulla rischiare realmente (il leone Rex senza denti ne è l’emblema). E’ metafora l’addestramento dell’elefantessa Rosi, che si scopre obbedire ai comandi quando sente parlare una certa lingua, mentre invece è ferita dal punteruolo e punita quando sente il comando come imposizione; è metafora lo sfondo di quell’America ferita, che nei suoi momenti di crisi è pronta a gettare gli uomini di serie b da un treno in corsa. E’ metafora l’amore, tra gli uomini e tra questi e gli animali, che alla fine avranno anche la possibilità di riscattare una loro agognata seppure breve libertà. Prevedibile e un po’ smielato il finale, che fa perdere di efficacia al resto del racconto. Che rimane invece incisivo: vale la pena farsi un viaggio in quell’America di oltre ottant'anni fa, ed entrare nel fantastico mondo di un circo itinerante è oltretutto un modo originale per farlo.
VOTO: 3/5
Articolo del
03/05/2011 -
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