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È una "storia quasi d'amore" quella che si svolge in un grande albergo di Tokyo, fra un "lui" in piena "crisi di mezza età" ed una "lei" il cui matrimonio attraversa la "crisi del secondo anno" (una volta l'anno fatale era il settimo, ma si vede che con la globalizzazione si sono accelerati anche questi processi). Se poi si aggiunge che a far da corona alla storia di lei, che ha bisogno di tenerezza, e lui, che cerca qualcuna delle certezze di quando era più giovane, ci sono una miriade di giapponesi da barzelletta (roba da 'Mai dire banzai', per chi ricorda quella trasmissione), si potrebbe arrivare alla conclusione che il film appartiene al genere "bufala d'autore" (o aspirante autrice, la regista e sceneggiatrice Sofia Coppola), costruita riprendendo un vecchio tema e cambiando furbescamente lo sfondo. Invece no. Non che il pericolo della banalità sia del tutto assente dal film (il confine fra cinema banale e cinema d'autore è mobile, e nessuno ha mai capito dove si collochi esattamente, se non nel giudizio soggettivo di ciascuno di noi); ma è il punto di vista che il film costruisce nel suo svolgersi a non essere programmaticamente banale (anche a costo di essere talvolta un po' contorto, ma questa è spesso la cifra dell'intelligenza al femminile). Per questo "Lost in transaltion" non dà mai la sensazione che la conclusione sarà scontata, del tipo "lei e lui superano la differenza di età e vivono assieme" o "tornano ciascuno alla propria vita, ma con un ricordo indelebile di quei giorni"; quello che cercano il quasi anziano Bob e la ancora giovane Charlotte è una verità su loro stessi, sul perché abbiamo bisogno di qualcun altro ("everybody needs somebody to love" cantavano, e a ragione, i Blues Brothers), del perché soffriamo quando non riceviamo quello che chiediamo o quando non riusciamo più, dopo tanto tempo, a dare e ad avere. Per questo Bob e Charlotte si conoscono e si riconoscono in quel posto incredibilmente straniero, dove dietro ad una selva di sorrisi e di atti gentili non riesci a capire cosa pensa chi ti sta davanti; spinti da una inevitabile voglia di evasione, e dall'insonnia che li accomuna, si incrociano, intuiscono nell'altro qualcosa che forse potrebbe aiutarli a capire loro stessi. Ma il percorso non è facile: come quella città dove nulla è comprensibile e bisogna spiegarsi a gesti, così fra loro due che si parlano dai loro mondi diversi, una serie di piccoli gesti cerca di esprimere cose che stanno nel profondo di ciascuno, segrete anche per loro. Tanto segrete che non si possono dire, se non per un attimo, parlandosi all'orecchio mentre il frastuono della città impedisce che qualcuno ti possa sentire. Perché certe cose sono così fragili e leggere che, appena le nomini, rischiano di volare via e non tornare più.
Articolo del
23/12/2003 -
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