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Cinque film tra i Sessanta e i Settanta, più un singolo remake (ottimo) di Tim Burton: a tanto ammonta il franchise del Pianeta delle Scimmie. Il tutto nacque da un romanzo di fantascienza sociologica del francese Pierre Boulle, già autore de Il ponte sul fiume Kwai. Come spesso accade, una buona opera letteraria riesce a fare più strada sul grande schermo che sulle pagine di un libro: e a giudicare dal suo appeal su Hollywood, ancora dopo quasi mezzo secolo, questa era davvero buona...
Capovolgere il punto di vista umano con quello animale, per di più coinvolgendo le scimmie antropomorfe, da sempre specchio oscuro dei sensi di colpa dell’Umanità, fu un successo. Cardine fondamentale della storia, riproposto più volte nella saga: le scimmie prendono il sopravvento sull’uomo, diventando specie dominante del pianeta, mentre gli umani devolvono e vengono schiavizzati; una sorta di occhio per occhio (o dovremmo dire “gabbia per gabbia”), dove secoli di schiavitù, circhi e sperimentazioni sui primati vengono vendicati. Il bello è che, conquistato il potere, le scimmie si rivelano essere esattamente come noi: avide, proterve, intolleranti, bellicose.
Il nuovo, bellissimo prequel alla saga è L’alba del Pianeta delle Scimmie, del giovane indipendente britannico Rupert Wyatt. A dieci anni dal one-shot burtoniano, e a circa quaranta dalle pellicole classiche, la serie rinasce (questo sarà il primo episodio di una nuova probabile trilogia) da zero, ovvero dal primissimo embrione di spartachiana rivolta da parte delle scimmie.
A San Francisco, le ricerche su un anti-Alzheimer creano lo scimpanzé ultraintelligente Cesare (nomen omen!); un incidente lo porterà dalle braccia amorevoli dello scienziato Will (uno stropicciato James Franco) alle gabbie di un ricovero per primati. Sarà facile per il suo intelletto esasperato organizzare la fuga e mettersi a capo di un esercito di pelosi “galeotti”, in cerca della libertà tra le sequoie (!) californiane.
Se mai esiste un film in cui gli effetti speciali servono alla storia e l’arricchiscono di emozioni è questo: la performance capture della Weta Digital supera se stessa nel creare decine e decine di scimmie diverse, “interpretate” da attori digitalizzati, e renderle indistinguibili da quelle reali. E su tutti giganteggia il pioniere nonché re indiscusso di questa nuova forma di recitazione, Andy Serkis, già Gollum e King Kong, ed ora un magnifico Cesare. La sua performance è tanto accattivante agli occhi dello spettatore da far scomparire i più bravi attori in carne ed ossa, e rendere le vicende degli umani del film assai più prevedibili e noiose.
La storia, per chi conosce la saga, strizza l’occhio ai film classici certo, ma è godibilissima anche per il neofita, trattandosi di un “numero zero”: per lo spettatore novello i legami con gli episodi passati non sono intuibili fino agli ultimi fotogrammi del film, che peraltro (com’era prevedibile) lasciano ai futuri episodi l’incombenza di proseguire la narrazione.
Tuttavia possiamo dire con tutta tranquillità che, si fermasse qui la serie, saremmo rimasti più che soddisfatti da quest’episodio notevole… ma, per fortuna, la saga si prepara ad affrontare un altro secolo: non potremmo certo sfuggire così facilmente allo sguardo accusatore delle nostre cattive coscienze, quello dei nostri cugini primati... VOTO: 4/5
Articolo del
29/09/2011 -
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