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Owen è un fragile dodicenne del New Mexico che vive in uno squallido comprensorio insieme alla madre, ma trascorre i suoi giorni nella completa solitudine. I suoi genitori infatti, dopo la separazione, stanno affrontando un difficile divorzio ed a scuola il giovane è perennemente molestato da un gruppetto di bulli. L’arrivo di una misteriosa ragazzina di nome Abby nell’appartamento accanto a quello di Owen gli darà l’occasione di legarsi per la prima volta e profondamente a qualcuno, anche a prezzo di condividere il peso del tremendo segreto di Abby che per vivere ha bisogno di nutrirsi di sangue.
Se la storia vi suona familiare non preoccupatevi: si tratta dell’ennesimo remake americano. Blood Story infatti altro non è che il remake di Lasciami Entrare, una splendida trasposizione per il cinema del romanzo dello scrittore John Ajvide Lindqvist, realizzata nel 2008 in Svezia da Tomas Alfredson. Seguendo una corrente ormai consolidata, Hollywood preferisce investire su idee già brevettate piuttosto che rischiare con qualcosa di nuovo e originale. In questo caso il compito di trasporre la narrazione negli Stati Uniti è affidata al regista Matt Reeves che tenta di rimanere fedele alle atmosfere e alle suggestioni del primo film, ma rende più palese ed esplicito l’aspetto squisitamente horror. La presenza di scene vagamente “spaventose”, di effetti speciali, visivi e di un po’ di sangue in più non riesce ad ovviare all’incapacità di riprodurre l’anima intima e delicata dei rapporti e delle relazioni che sono alla base di questa storia, che sembrano arrivare costantemente troppo attutite, diluite, forse, proprio in quella maggiore quantità di liquido ematico che dovrebbe caratterizzare la pellicola.
Nonostante gli sforzi di Reeves e una performance del cast decisamente positiva – anche in virtù della presenza dei due attori protagonisti, giovanissima ma già molto promettenti – Blood Story risulta privo di personalità, non riuscendo a collocarsi agilmente nella categoria horror e uscendo contemporaneamente sconfitto dal confronto obbligatorio col suo predecessore. Mentre il primo film è uno struggente canto poetico, nel remake si tenta di alzare la voce e i toni, di gridare qualcosa con voce stentorea, ma il risultato è solo una flebile eco. Il racconto non è affatto reso più interessante da qualche urlo che rompe inutilmente dei silenzi che erano invece ciò che impreziosiva a dava intensità a Lasciami entrare. Probabilmente il box office ripagherà in termini di incasso quest’operazione di mercato, a cui va riconosciuto un certo coraggio, perché Blood Story permette una fruizione decisamente semplificata e standardizzata da servire allo spettatore medio, rispetto a quella necessaria per assaporare a pieno la bellezza della pellicola originale svedese. Tuttavia, proprio per coloro che hanno saputo apprezzare quest’ultima, la visione di Blood Story è sconsigliata, in quanto non necessaria se non addirittura inutile.
VOTO: 1,5/5
Articolo del
07/10/2011 -
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