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Guy Ritchie
Sherlock Holmes – Gioco di ombre (Sherlock Holmes: A Game of Shadows)
Azione, durata: 129’. – U.S.A./Regno Unito/Australia
2011
Silver Pictures, Village Roadshow Pictures
di
Marco Casciani
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Una metafora che può spiegare in modo conciso ed efficace il film è quella della partita a scacchi (la stessa che giocano Holmes e Moriarty): immaginate di concentrare la vostra attenzione sulle singole mosse piuttosto che alla partita nel suo insieme. Allo stesso modo, questo secondo episodio dello Sherlock Holmes nevrotico, vizioso, iperattivo e “very cool” di Guy Ritchie, offre uno spettacolo formidabile se analizzata nel dettaglio e al contrario risulta pesante, ridondante e troppo elaborato nell’intrigo generale.
Se il primo episodio diverte per la novità, per una reinterpretazione del personaggio scaturito dalla penna di Arthur Conan Doyle che riesce a far accettare allo spettatore persino tutto ciò che di americano viene inculcato in uno dei personaggi più british di sempre, questo secondo episodio la tira troppo per le lunghe. Siamo di fronte ad un film che è un prodotto per fare soldi attraverso lo spettacolo, l’intrattenimento. Tutta l’arte che vi si può trovare quindi, dalla sceneggiatura dei fratelli Mulroney alla fotografia, dagli splendidi effetti speciali ai movimenti di macchina, è finalizzata a divertire e a “non far pensare”. Per questo lo spettatore che va a vedere Sherlock Holmes non rigetta l’insieme di cliché di cui sono pieni i film d’azione o d’avventura hollywoodiani e che in questa pellicola si intrecciano con il ben più raffinato humor psicotico inglese tipico di altri film di Ritchie (penso a Lock&Stock, The Snatch e Rockenrolla). Lo spettatore accetta immediatamente tutto: la “sospensione di incredulità” la chiamerebbe Coleridge, fondamentale nei film di fantascienza per esempio. Ma si avverte la pesantezza di un intreccio poco fluido che fa dubitare di una certa onestà narrativa. Ad ogni modo le trovate spettacolari come le “anticipazioni mentali” di Holmes continuano a funzionare come anche i molti elementi positivi del film: l’entrata in scena del fratello di Holmes interpretato dal comico inglese Stephen Fry, sequenze esilaranti come quella del treno, in cui Holmes, travestito da donna come Jack Lemmon in A qualcuno piace caldo, si sostituisce alla povera moglie di Watson facendo trapelare una certa attrazione omosessuale latente tra i due (trovata geniale anche questa) rivelata nel momento in cui vengono scoperti dalle guardie mentre si azzuffano.
Sherlock Holmes è un film che sprizza immaginario ottocentesco da tutti i pori (il treno, gli anarchici, le prime automobili, gli zingari ecc…): un’estetica che si unisce a caratteristiche tipiche dei i nostri tempi come la velocità, la nevrosi, il vizio e soprattutto l’ansia provocata dall’idea di una catastrofe mondiale imminente.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
26/12/2011 -
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