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Rodrigo Garcia
Albert Nobbs
Drammatico, durata: 113’ – Regno Unito
2011
Chrysalis Films, Mockingbird Pictures, Parallel Film Productions, WestEnd Films / Videa CDE
di
Omar Cataldi
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«Caro vecchio Mister Nobbs». «Quel bravo omino di Nobbs». Dietro queste affermazioni di affetto e di apprezzamento per l’impeccabile servizio di un cameriere d’albergo, la tragedia.
In un’Irlanda ottocentesca in crisi nera e disoccupazione galoppante (quale altra nazione di oggi ci ricorda?) una donna, spinta un po’ da traumi passati, dal caso prima e poi dalla necessità, vive la sua vita travestita da uomo… come cameriere di un grande albergo dublinese. La solerzia con cui svolge il proprio lavoro l’assorbe a tal punto da averle fatto dimenticare la propria originaria identità sessuale, ormai sepolta a fondo dentro di lei. Un segreto da custodire bene, dato che lo spettro della disoccupazione incombe.
Avvantaggiata da un muro di riservatezza costruito intorno alla sua persona, e da un mestiere dalla quieta routine, la sua finzione dura ben trent’anni. L’incontro fortuito con una persona nella sua stessa situazione, oltretutto paradossalmente felice e appagata, aprirà la strada al desiderio di una vita piccolo-borghese: un’attività in proprio, una moglie (!), una vecchiaia serena. Il destino avrà in serbo altro.
Ha poco a che vedere con la sessualità questa storia, e molto con la posizione sociale. Tratta da un racconto del 1918 dello scrittore irlandese George Moore (pressoché sconosciuto da noi) già adattato per il teatro nell’82, la vicenda di Albert Nobbs arriva sul grande schermo con Rodrigo García. Si tratta di un regista di provenienza televisiva, cresciuto a pane e letteratura (è figlio del Nobel Gabriel García Márquez), e si vede. Ricostruzione d’epoca impeccabile, dinamica di una vicenda altrimenti piatta lasciata nelle sapienti mani di un ottimo cast british/irish, capitanato dalla grandissima (americana) Glenn Close, che già ne fu protagonista a teatro trent’anni fa. Dimesso, sognatore e con guizzi sornioni, l’Albert Nobbs della Close è forse il migliore ruolo di tutta la sua peraltro sontuosa carriera, ed ennesima candidatura all’Oscar, che ancora una volta ci sentiamo di dire con relativa certezza che non vincerà, raggiungendo un poco invidiabile record negativo: ma non ci importa.
Da una vicenda “curiosa” (come già quella letteraria/cinematografica di Benjamin Button, mutatis mutandis, il filone è quello) traiamo una riflessione che spicca su tutte. Dice il riverito medico (alcolizzato), ospite fisso dell’albergo, ad Albert durante una festa in maschera data dalla nobiltà locale: «Caro Mister Nobbs, noi siamo gli unici travestiti da noi stessi». Ci sono dei costumi, (autoimposti, o imposti da altri) dai quali non si può sfuggire, il Dio dello Status Quo non lo permetterebbe. Come appunto nel curioso caso di Albert.
VOTO: 3,5/5
Articolo del
21/02/2012 -
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