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Paradiso amaro segna il ritorno sul grande schermo di Alexander Payne dopo ben sei anni, ovvero dal delicato, corposo Sideways – In Viaggio con Jack, con uno splendido Paul Giamatti. Ormai il suo è diventato uno stile personale, riconoscibile e in qualche modo ufficializzato: raccontare la società americana borghese in modo raffinatamente cinico. Facendo uso di quella freddezza tipica più dello humor inglese che di quello americano per raccontare le piccole/grandi tragedie che ogni uomo affronta nel corso della propria vita. E questo rende i suoi lavori delle commedie agrodolci, o se vogliamo dei drammi che fanno sorridere. Tratto dal romanzo di Kaui Hart Hemmings Eredi di un mondo sbagliato, questo film ha fatto conquistare la seconda statuetta a Payne per la sceneggiatura non originale, confermando un certo valore che già era stato notato con Sideways.
Ma ci sono alcune cose da precisare: Hollywood continua a sfornare pacchetti preconfezionati da così tanto tempo che persino quando tenta di prendersi per i fondelli diventa noiosa. Mettiamo insieme un bravo e bell’attore di mezza età che punta all’Oscar, una storia familiare che quindi include i mondi dell’adolescenza e dell’infanzia, un’America ricca, borghese, e (soprattutto) l’immensa tragedia che ti apre le palpebre e ti fa piangere a forza strizzandoti i bulbi oculari. Sullo sfondo di questa tragedia, volutamente, ma esageratamente mostrata, ruota la storia della famiglia King che poi non sarà altro che un romanzo di formazione: all’inizio del film Matt King pronuncia una metafora, chiave del film. Egli paragona una famiglia ad un arcipelago in cui si è vicini e allo stesso tempo molto distanti, introducendo un elemento molto importante: l’arcipelago è il luogo dove si svolge la vicenda, le Hawaii, un paradiso terrestre dove tutti pensano che non si soffra mai, si faccia surf tutti i giorni in camicia hawaiana. E invece… Inoltre il titolo originale, The Descendants, fa riferimento allo status familiare del ricco Matt King, ossia l’essere discendente di una famiglia di nativi del posto ed aver ereditato un immenso terreno assieme ad altri cugini ricchi, falsi e ancora più distanti l’uno dall’altro.
E nonostante la bravura di George Clooney (eppure l’ho visto ancora più “in forma” in altri film), nonostante gli elementi che vengono a galla (il tema del superamento di una crisi, della distanza, dell’appartenenza), nonostante i forti contrasti (ambiente paradisiaco/inferno interiore, dramma angosciante/ridicolizzazione di Clooney), Paradiso Amaro non è un film che colpisce come dovrebbe, risulta troppo artificiale e in alcuni momenti persino prevedibile.
VOTO: 2/5
Articolo del
08/03/2012 -
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