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Genova. 21 Luglio del 2001. Alle ore 22 il IV° Reparto Mobile della Polizia di Stato faceva irruzione nella scuola occupata Armando Diaz dove dormivano principalmente giovani del movimento antiglobalizzazione. Il risultato furono 93 arresti, 61 feriti dei quali 3 in prognosi riservata e uno in coma, 125 esponenti delle forze dell’ordine imputati e la pesante definizione data da Amnesty International: «la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale».
Ma partiamo dal principio: si parlava di Diaz già un anno prima dell’uscita e della presentazione al festival di Berlino e già dava scalpore. Il regista di Velocità massima e de Il passato è una terra straniera, dicevano i giornali, vuole fare un film sui fatti della scuola Diaz a Genova. Immediata la polemica perché il buon Daniele Vicari non trovava nessuno che gli producesse il film e ammise all’epoca di volerlo cercare fuori dall’Italia. Quello che poi è successo è stato che, grazie ad un accordo dell’Italia, assieme a Francia e Romania, Domenico Procacci di Fandango si è convinto. Questo la dice lunga sul sistema produttivo cinematografico italiano, troppo “attaccato” a quello televisivo il quale, a sua volta, è troppo “attaccato” alla politica. Ma quello che bisogna dire è che Diaz, fortunatamente, non è un film d’apparenza. Un film fantasma, fatto solo per sfruttare un certo tema, un fatto storico recente, in cambio di successo e soldi al botteghino. Perché in Italia il cinema di genere politico è stato uno dei generi più redditizi: il cinema che parla della storia che riguarda tutti, storia recente. Mettici qualche nome importante (Lo Cascio, Stefano Accorsi, Favino o Elio Germano e Claudio Santamaria) ed è fatta. Nel giro di un paio di mesi nella sale ci sono stati tre film che hanno avuto come tema principale la politica: Acab, Romanzo di una strage e Diaz.
Ma ripeto, per fortuna Diaz si discosta da tutto ciò. Vicari mira a raggiungere uno stile fresco, originale, più internazionale: la prima parte del film è incentrata sulla “presentazione” dei vari personaggi (si tratta di un film corale, quindi tanti personaggi e nessun protagonista unico) e sul motivo, spesso accidentale, per il quale si sono ritrovati a dormire alla Diaz quella fatidica notte. Ha preso ispirazione per la sintesi filmica dei fatti di Genova da tutta la documentazione dei processi e delle battaglie che si sono avvicendate negli anni. Così abbiamo i personaggi chiave ripresi in tutto e per tutto da quelli reali tranne il vero nome per volere dei diretti interessati (ma con le stesse iniziali). Abbiamo una Genova ricostruita in Romania alla quale si accostano spesso filmati di repertorio e, infine, abbiamo una sequenza che probabilmente vale l’intero film, ovvero quella del pestaggio della polizia all’interno della scuola. Una sequenza girata in modo magistrale, che insiste e si sofferma sulla violenza in modo quasi feticistico, fastidioso, ma è giusto così perché chi va a vedere Diaz vuole vederla la violenza che c’è stata e non vuole sconti. Il vicequestore Michelangelo Fournier definì quello che successe all’interno della scuola «un selvaggio pestaggio da macelleria messicana» e Vicari rende visivamente queste pesanti parole senza scadere nel dramma o nel cinismo. Probabilmente Diaz è il capolavoro di un regista che è riuscito a mantenere una certa onestà nel raccontare, un certo distacco senza dare alcuna risposta ma lasciando lo spettatore con la rabbia addosso e l’impossibilità di poterla scaricare altrove.
Il Cinema è intrattenimento, un momento di svago, ma in questo caso assume una grande importanza perché ha il potere di incrementare un immaginario collettivo a distanza di undici anni dall’accaduto, e porre l’attenzione, di nuovo, su alcune tematiche che rischiano pericolosamente di essere banalizzate.
VOTO: 4/5
Articolo del
04/05/2012 -
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