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Stati Uniti del futuro. Un regime totalitario post-apocalittico pretende un tributo annuale di due minorenni da ciascuno dei dodici distretti in cui ora è divisa la devastata e affamata nazione, con l’illogico scopo di “mantenere la pace”. Questi ventiquattro fanciulli sono costretti ad una colossale olimpiade di sopravvivenza e combattimenti all’ultimo sangue, filmata in mondovisione per il pubblico trastullo: i “Giochi della Fame” (Hunger Games).
La chiave del successo planetario di una saga cinematografica, si era capito ormai da George Lucas in poi, è “saccheggiare con stile” idee e tematiche già battute da altri, idee a volte risalenti anche a millenni prima. Se Lucas prendeva a mani basse da Akira Kurosawa, John Ford, Tolkien e le varie mitologie, la scrittrice Suzanne Collins più o meno consciamente ispira il suo romanzo appena filmato al mito di Teseo, a Rambo, ai reality show di sopravvivenza, al Truman Show, e al citatissimo e controverso romanzo nipponico (poi film) Battle Royale.
Allo stato attuale questo minestrone ben condito ha raccolto più di seicento milioni di dollari nel mondo, un nuovo fenomeno nel sempre più fiorente filone young adult, da fare invidia a Twilight. I paragoni presto sbandierati con quest’ultimo non sussistono davvero. Hunger Games, seppure con lo stesso target di lettori/spettatori, è ovviamente diverso per tematiche, ma quando alle casse delle librerie o sulle poltrone del cinema si vedono parecchi adulti (non trascinati da figli e nipoti) è segno che l’opera non è così infantile come sarebbe potuto sembrare.
Il film funziona perché, al di là dei contenuti che fanno più che mai riflettere lo spettatore sul mondo e sulla tv di oggi, è sorprendentemente ben realizzato dal poco prolifico Gary Ross (che sfiorò diversi Oscar con Pleasantville e Seabiscuit). La fotografia è attenta e sapiente nel rispettare i colori delle foreste selvagge come quelli delle megalopoli futuristiche e della loro debosciata umanità, e il montaggio sa far progredire la vicenda senza ricorrere a troppi dialoghi esplicativi.
La protagonista sedicenne Katniss, eroina della vicenda, che si offre volontaria all’ordalia televisiva al posto della sorellina, è interpretata dalla solida e promettente Jennifer Lawrence (Un gelido inverno, X-Men: L’inizio). Katniss è una taciturna ragazza dei boschi, fisicamente e moralmente forte, proiettata in un mondo chiassoso e riprovevole, vampiro di sorrisi e massacri: le sue mani non vorrebbero macchiarsi futilmente di sangue umano (e non lo faranno, grazie ai soliti abili stratagemmi narrativi).
Se bastano un racconto accattivante e profondo, un’eroina complessa e (sottolineo) ben recitata e una produzione sontuosa al servizio della storia, a fare un blockbuster di qualità, allora Hunger Games è un vincitore. E senza mostrare, notiamo, la morbosità di un gruppo di minorenni che si massacrano tra loro per la sopravvivenza e la celebrità, altrimenti (sembrano far capire i realizzatori) non saremmo altro che quel vampiresco pubblico di spettatori del futuro dal quale dovremmo stare in guardia…
VOTO: 3,5/5
Articolo del
09/05/2012 -
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