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Dopo aver perso il padre nel “giorno più brutto”, quello degli attentati terroristici dell’11 settembre, Oskar Schell trova una busta contenente una chiave e recante un nome. Da lì inizia un viaggio attraverso New York, alla ricerca della persona cui apparteneva la chiave e della serratura da aprire. Viaggio per mezzo del quale il bambino spera di poter avere risposte a molti interrogativi irrisolti, spinto dalla cosa più importante che il padre gli abbia insegnato. “Non smettere mai di cercare”.
Stephen Daldry (Billy Elliot, The Hours, The Reader) si confronta, partendo dall’omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer, con un avvenimento indelebile nella mente degli americani e dell’intero globo, e lo fa adottando un punto di vista diverso da quelli cui siamo abituati. Non si parla della tragedia in sé o dell’impatto mondiale della stessa. Si parla di come un ragazzino provi a metabolizzare la scomparsa di un padre che amava più della sua stessa vita. Una trama come questa è chiaramente difficile ed insidiosa da trattare: il rischio di scadere nella retorica e nei sentimenti facili è dietro l’angolo. Per questo tocca ammettere che il regista ci sia inciampato. Daldry non riesce ad adottare il giusto metro di distanza, i personaggi sono affetti tutti da un’esagerata ondata di buonismo, tutti sembrano lì apposta per votarsi alla causa del ragazzino orfano, e addirittura chi mostra di avere qualche problema (un divorzio) riesce a sistemare le cose grazie a questa visita inaspettata. Un sentimentalismo esagerato, tempi fin troppo dilatati, situazioni e coincidenze ai limiti dell’irreale e, spiace dirlo, un protagonista a tratti addirittura irritante. Una materia che andrebbe trattata con la precisione e il distacco di un chirurgo, mentre troppo spesso viene cercata la lacrima facile. E i 130 lunghi minuti chiaramente non aiutano.
Tom Hanks fa il Tom Hanks, per quei pochi minuti in cui recita, Sandra Bullock un po’ invecchiata si limita al ruolo di madre/moglie distrutta e oltre non va, mentre l’ottuagenario Max Von Sydow è il piacere migliore di questo film. Mutilato della parola ci riporta alla vera recitazione, quella con gli occhi, con le espressioni, con le mani. Immortale.
VOTO: 2/5
Articolo del
29/05/2012 -
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