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Mike Newell
Grandi speranze (Great Expectations)
Drammatico, Durata: 128’ – Regno Unito/U.S.A.
2012
BBC Films, Lipsync Productions, Number 9 Films, Unison Films / Videa CDE
di
Omar Cataldi
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Duecento anni fa nasceva Charles Dickens, uno dei più grandi romanzieri inglesi: le sue storie di povertà e riscatto sociale in una Albione un po’ meno albula per le ceneri nere dell’Industrializzazione sono entrate nei cuori dei lettori del glorioso Impero prima, e del resto del mondo poi.
Grandi speranze è certo uno dei capolavori dickensiani e la sua fama è stata cinematograficamente accresciuta dal film che ne trasse il maestro David Lean nel lontano 1946, prima di darsi ai kolossal che ben conosciamo. Nonostante le versioni televisive della BBC di Grandi speranze si susseguano in patria a intervalli regolari (l’ultima, assai apprezzata, è solamente dell’anno scorso) a molti resta in mente il fulgido bianco e nero dell’addolcita versione leaniana.
Il veterano Mike Newell (il suo pezzo forte finora, Donnie Brasco) sa come demolire un buon libro (L’amore ai tempi del colera) ma di fronte alla gloria nazionale forse si paralizza. Il suo Grandi speranze è una bizzarra suppellettile con la quale non si bene cosa fare: accuratamente messo in scena, degnamente recitato, ma non luccica e non fa venire i lucciconi. Le pagine del romanzo bagnate di lacrime qui restano scene asciutte, e manca la voglia di andare a rileggersi il libro, cosa che una intrigante versione cinematografica dovrebbe sempre ottenere.
L’orfanello Pip (Jeremy Irvine di War Horse) nel suo inatteso percorso da fabbro a gentiluomo, vive gli incontri umani cruciali della storia in maniera spedita (la pellicola costa?). Il galeotto evaso (Ralph Fiennes, il meno curato), la ricca zitella eccentrica (Helena Bonham Carter, gradevole gigiona ancora una volta sposa cadavere burtoniana) e il pingue avvocato-tutore (Robbie Coltrane, già Hagrid, il più bravo) sarebbero la punta dell’iceberg delle caratterizzazioni dickensiane, ma qui, in mancanza di altro, sono semplicemente tutto.
Non bastano dunque tre attori shakespeariani (o forse dovremmo dire potteriani) e una bella ricostruzione storica, se l’apparato emozionale e psicologico, uno dei più ricchi tra tutte le storie dickensiane, viene sorvolato. Non si può far sembrare questo romanzo, in particolare questo, un romanzo superficiale. Un’occasione mancata di celebrare il duecentesimo compleanno del buon Charles: non ne mancheranno altre buone, si spera, magari in televisione.
VOTO: 2/5
Articolo del
14/01/2013 -
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