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Tim Burton
Big Fish
2004
Columbia Tristar
di
Hamilton Santià
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Quanto è importante la fantasia? E soprattutto, quanto è importante rendere più felici gli altri raccontando delle storie vere ma condite di elementi fantastici che la rendono più magica e sempre emozionante? Davanti all'altrui felicità non bisognerebbe creare dei problemi di natura razionale e logica... anche perchè vivere escludendo l'arma della fantasia equivale ad uccidere quella parte di noi stessi che ci rende speciali e veramente interessanti. "Big Fish" non è solo una pellicola di Tim Burton, ma è una vera e propria fiaba moderna che riflette i tempi in cui viviamo e il distacco generazionale tra due tipologie di vita totalmente differenti. In un contesto del genere la trama razionale passa in secondo piano per concentrarsi su quello che le immagini dicono e il modo in cui ci colpiscono, portandoci spesso alla lacrime senza vergogna perchè motivate da episodi toccanti che insegnano e ribadiscono alcuni concetti cari a Burton come la tolleranza e l'importanza dell'amore - tema portante anche di "Edward mani di forbice" - grazie anche alla recitazione fluida e iperpersonalizzata degli attori... dal superbo Ewan McGregor - forse alla sua interpretazione migliore - ad un sorprendente Bill Cudrup (il Russel Hammnd di "Almost Famous") che mai e poi mai ci saremmo aspettati nel ruolo del figlio iper razionale che non accetta la geniale fantasia del padre. Stupenda anche - soprattutto per l'angelica bellezza - Alison Lohman nella parte di Sandra Bloom da giovane, protagonista di alcune sequenze da togliere il fiato, come il colpo di fulmine al circo o lo straordinario impatto del prato riempito di asfodei o il ritorno di Ed dalla guerra. Senza soffermarci tanto sulla pellicola in senso stretto - che sfiora paurosamente lo status di capolavoro (sicuramente il migliore di Burton) - il ruolo della fantasia è fondamentale in quanto tutto gira intorno a quello che molti chiamerebbero: "un sacco di stronzate" mentre si deve vedere come il modo attraverso il quale Edward Bloom (vero self-made man) da il suo piccolo contributo alla storia del mondo, rendendo speciale ogni avvenimento ed ogni persona per fare felici gli altri - come Josephine, moglie del figlio, interpretata dall'intrigante Marion Cotillard (che vanta nel carnet la trilogia "Taxxi") - e non importa considerare razionalmente ogni singolo pezzetto di quello che con tutta probabilità non è mai successo, perchè dimenticarsi solo per un secondo di quanto di brutto ci sia al mondo per sorridere e pensare a qualcosa di straordinario ritornando bambini, è qualcosa di fantastico e quando tutto questo è legato ad emozioni pure e sequenze da brividi (praticamente la seconda metà del film è un fiume di lacrime degli spettatori), il resto passa in secondo piano. Profetico? Retorico? Autocompiacente? Non lo so, sono le ultime cose cui avrei pensato se mi fossi approcciato alla pellicola in modo critico; ma alla fine è sempre lo stesso discorso che ritorna, ovvero, che la troppa razionalità tende a far perdere il gusto delle cose, anche le più semplice; e un film come "Big Fish" non può che essere brutalmente assassinato da un atteggiamento del genere. In questo caso bisogna solo lasciarsi prendere dal fiume delle emozioni e fregarsene per una volta del manierismo o della finitezza - difetti che qualcuno trova sempre sempre e sempre - perchè il suggestivo spettacolo offerto da Tim Burton non può non colpire per intensità e dopo la visione non si può non riconsiderare la nostra vita e la poca importanza che stiamo dando alla nostra fantasia.
Articolo del
25/03/2004 -
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