Con Iron Man 3 si apre ufficialmente la Fase Due dell’Universo Cinematico della Marvel Comics. Un anno fa, con The Avengers, si concludeva trionfalmente la Fase Uno: sei pellicole di supereroi in quattro anni, tutte finemente collegate tra loro in un simbiotico universo narrativo. La Marvel aveva raggiunto una meta storica: portare anche sul grande schermo la grande libertà creativa della propria realtà fumettistica, dove eroi e destini diversi si intrecciano in maxi-eventi globali ad ogni pie’ sospinto.
Si ricomincia daccapo con un nuovo ciclo: Tony Stark, ancora (psicologicamente) provato dagli eventi vissuti col gruppo di super-amici, si ritrova a fronteggiare l’inedita minaccia terroristica di un novello Bin Laden, l’inafferrabile e spietato Mandarino, il quale sembra avercela con gli Stati Uniti; ma le cose non sono come sembrano, come i dietrologi del complotto blaterano fin dal 12 settembre 2001.
Il terzo episodio di una trilogia è sempre un rischio, sia quando viene firmato dal regista dei primi due, sia quando il regista cambia (come in questo caso). Shane Black, la mente dietro Arma letale, sostituisce il precedente Jon Favreau. Siamo lieti di constatare che il progetto dell’Uomo di Ferro viene portato avanti con la stessa dedizione e bravura. E che ulteriori approfondimenti sulle psicologie dei vari personaggi non sono stati dimenticati, come accadeva nel secondo episodio. Tony Stark comincia seriamente a fare i conti con l’essere un eroe, sebbene l’azione sia generata da un suo desiderio di vendetta (per il coma di un suo amico). Le minacce della trama di questo episodio sono connesse ai pericoli della scienza (ovviamente, per un eroe scienziato…), ma ancora di più (attenzione!) agli inganni di questo nostro mondo fatto di immagini potenti e ingannevoli.
I pericoli della scienza sono incarnati da uno dei villains principali, Aldrich Killian (un viscido Guy Pearce): lui è un Tony Stark riflesso in uno specchio oscuro. O meglio, un Tony Stark a cui non è capitato mai un incidente invalidante che l’abbia fatto tornare sulla retta via. Mentre i cattivi dei film precedenti non avevano mai completato la parabola del successo scientifico che sembra essere una costante di tutti i nemici di Stark, Killian vi è riuscito, la sua psicosi è completa.
La serie di Iron Man è un cocktail che non passa ancora di moda, perché sa parlare al nostro tempo, perché è fatta dei suoi elementi: tecnologie soverchianti, poteri nascosti, nevrosi e psicosi. Ma non ci si spaventi: sopra l’orrore c’è una bella leccata di brillantini hollywoodiani. I guizzi ironici dei dialoghi, seppure in un episodio più pessimistico e oscuro del solito, non mancano: la verve di Joss Whedon (il genio dietro Buffy e The Avengers) e il carisma marpione di Robert Downey Junior continuano. E pensare come sarebbero state diverse le fortune di Iron Man al cinema senza l’attore giusto! Sarebbe bastato un attore più fedele al fumetto originale (il Tony Stark di carta è un tipo serio e pieno di autocommiserazione) per fare un decimo degli incassi… e forse rivelare un po’ troppo scorrettamente l’oscurità dei nostri tempi.
VOTO: 4/5
Articolo del
10/05/2013 -
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