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Alla sua prima opera per il grande schermo Peter Webber si cimenta in un film difficile e complesso per ambizione, ricostruzione storica, tematica. L’ambizione intrinseca in La ragazza con l’ orecchino…è nel voler raccontare una storia in cui l’allusione e il tema pittorico parlino più di tutti gli altri elementi, in cui molta parte ha lo spettatore e la sua capacità di cogliere al di là del silenzio, al di là della scena stessa. L’argomento del film è infatti la storia della realizzazione del quadro di Johannes Vermeer intitolato “Ragazza con turbante”, un’opera “scoperta” solo nel 1882 (e che ancora oggi è avvolta da un certo mistero) nata, secondo il film, su ispirazione della giovane Greid, giovane serva in casa Vermeer non istruita ma dotata di una forte sensibilità all’arte; la ragazza, giunta in casa di Johannes per improvvise necessità economiche della famiglia, instaura un rapporto di attrazione platonica con il suo padrone, abbagliato dalla bellezza angelica e dall’intelligenza di Greid. L’amore e l’interesse per la pittura sono l’anello di unione fra i due che instaurano un rapporto segreto eppure non libertino, niente avviene fra di loro se non scambi di sguardi che si sfuggono e si nascondono per ritrovarsi assieme nella contemplazione pittorica della natura come principale opera d’arte. Tutto è alluso nel film di Webber (al suo primo lungometraggio), o meglio è lasciato alle immagini, agli occhi dei personaggi più che ai loro dialoghi. Nel tema del quadro di Vermeer il regista però si lascia prendere troppo dalla ricerca di un’adeguatezza della scenografia all’opera d’arte di cui si parla e con il passare del primo tempo, i personaggi vengono abbandonati al loro primo stadio di analisi: che li vede, con un occhio attento, approcciarsi a se stessi e ai loro sentimenti, artistici e non, e che lì li abbandona. Privandoli anzi della loro profondità e lasciandoli esclusivamente a una bella fotografia che non è però sufficiente a riempire un film. Webber scade così nel già detto, nel prevedibile; la ricostruzione storica dei rapporti sociali del tempo è cosa già vista nelle fiction di cui oggi è piena la TV, il film andando avanti perde sostanza e lascia decisamente a metà la sua storia. Non bastano neanche le buone prove di Scarlett Johansson e di Colin Firth a salvare un risultato di un’opera che probabilmente risente del libro (di Tracy Chevalier) da cui è tratta: un best seller, infatti, per quanto bello, non è la garanzia di un capolavoro cinematografico; preso lo spunto ogni film si nutre di sé ed esige un’estrema cura in ogni suo elemento. E in ogni sua parte. Come i quadri d'altronde.
Articolo del
30/03/2004 -
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