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A Robert Altman piace rovesciare l'America, il paese dove "se ci credi ce la puoi fare" raccontato da tanti film, e dove il successo individuale è quasi una religione. Invece, fin dalla prima scena, "The company" ci mostra un'altra realtà; un balletto dove i singoli contano per la loro capacità di muoversi in assoluta sincronia fra di loro. Il che non comprime affatto il valore individuale di ciascuno, ma lo esalta come funzionale alla riuscita di tutti. Anche la trama del film, una trama tanto esile da lasciare quasi interdetti, procede per così dire al contrario. Soprattutto per Ry, la ballerina interpretata da Neve Campbell: invece di attraversare mille difficoltà (il lavoro da cameriera, il tradimento del ragazzo, il rischio di farsi male e non poter ballare) ed uscirne infine vincitrice, Ry alterna momenti buoni e momenti meno buoni, sulla scena e nella vita. Ma non fa dipendere la propria passione dal successo che ottiene. Lei balla non perché vuole dimostrare di essere la "numero uno", ma perché le piace; e non "balla da sola" (esercizio di onanismo) perché le piace farlo con i colleghi con i quali condivide la stessa passione. Altrimenti sarebbe facilmente una frustrata (come sembra essere sua madre che la sprona a farsi valere nella vita) e non si accontenerebbe di ritrovare l'amore con un giovane cuoco (che sembra avere nelle mani lo stesso talento che ha lei nei suoi piedi). Attorno a Ry, e al direttore della compagnia, ruotano, come è solito per Altman, decine di figure più o meno piccole, che però danno la vera sostanza del film. Se la compagnia di ballo è come un orologio al quale il vecchio direttore dà la carica e di cui difende i delicati equilibri, i pezzi che compongono il meccanismo sono tanti, fragili e diversi uno dall'altro. Ma ognuno di loro è responsabile per l'intero, a prescindere dal fatto di essere il numero uno o il numero cento. Ed è la passione condivisa, non l'ideologia del successo, a far sì che la compagnia vada avanti.
Articolo del
05/04/2004 -
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