India Stoker è una giovane silenziosa e introversa, che passa le sue giornate in un voluto isolamento nella bellissima villa di campagna della sua famiglia o a caccia con il padre, a cui è legatissima. In seguito all’improvvisa e tragica morte di quest’ultimo in un incidente stradale, avvenuto proprio nel giorno del diciottesimo compleanno della figlia, il fratello dell’uomo, di cui si era persa traccia da anni, si presenta a casa Stoker dove si trasferisce, per la gioia della madre di India. La presenza dello sconosciuto zio Charlie, con il suo bagaglio di segreti e rivelazioni morbose, turba da subito la singolare esistenza della ragazza.
Stoker, il primo film in lingua inglese del regista sud coreano Park Chan-wook, è una parabola che cha fa proseguire in maniera evocativa un concetto abbastanza singolare del vampirico caro al cineasta - già esposto in Thirst - chiudendosi a sua volta su sé stessa con una perfetta circolarità, grazie al bellissimo incipit con cui la protagonista India si staglia sullo schermo annunciando da subito la sua vera essenza. Un vampirismo dei sensi e dei sentimenti, dove il sangue è legame e difatti viene rappresentato materialmente solo nel momento in cui il suddetto si lacera, manifestando la definitiva presa di coscienza della protagonista, pronta ad affrancarsi e ad accettarsi. Rivelando in anticipo sia il peccato che i peccatori, il regista cerca di instillare lentamente la suspense, ma lo fa in modo frammentario, soprattutto attraverso un uso interessante del flash back e a raffinate soluzioni che puntano a colpire visivamente, soprattutto nella primissima parte della pellicola, ma che alla lunga possono risultare ripetitive. Fotografia e montaggio pieni di stile sottolineano costantemente le impeccabili scelte estetiche del regista, e grazie all’accostamento di immagini tentano di far montare l’apprensione un gradino alla volta. Lo spettatore resta in sospeso ed è costretto ad attraversare un lungo limbo fatto di stati di attesa, perché Pak Chan-wook pone all’accento sul divenire, sul percorso oscillante tra l’innocenza e una violenza liberatoria, che oltre al sapore del sangue ha un forte retrogusto di crescita ed accettazione. Impossibile non notare, durante questo perverso cammino, lo sguardo voluttuoso con cui la cinepresa indugia sui molti dettagli e particolari di questa curatissima messa in scena, per i quali c’è un’attenzione ai limiti del maniacale, che rischia di tanto in tanto di trasformare un’eleganza raffinata e sofisticata in una sofisticazione troppo palese e fine a sé stessa. I costumi e gli interni decisamente vintage, per quanto belli, tendono a dare un’idea di artificio stilistico che stride e contrasta i cupi presagi della trasformazione, o meglio della metamorfosi, a cui assistiamo. Nonostante tutti gli accorgimenti usati, il film finisce per non essere sempre intimo quanto dovrebbe e per quanto possa sembrare paradossale, manca un po’ di empatia.
Stoker è un tranquillo film di tensione, dove quest’ultima ricalca palesemente e con mano pesante le forme storicamente note e molto amate del cinema di Alfred Hitchcok Una migrazione cinematografica, dall’Asia all’occidente, riuscita abbastanza bene anche se non in modo de tutto indolore.
VOTO: 3/5
Articolo del
09/07/2013 -
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