Zack Snyder
L’Uomo d’Acciaio (Man of Steel)
Azione, Fantascienza, durata: 143’ – U.S.A.
2013
Atlas Entertainment, Cruel & Unusual Films, DC Entertainment, Syncopy / Warner Bros. Pictures Italia
di
Omar Cataldi
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Prendendo il titolo da una storia del 1986, che per la prima volta in quasi mezzo secolo “resettava” i fili narrativi dei fumetti di Superman, il film L’Uomo d’Acciaio compie un’operazione equivalente, azzerando il racconto cinematografico dell’Azzurrone ancora fermo al ’78 di Richard Donner.
Il controverso e incompreso Superman Returns di Bryan Singer di sette anni fa infatti si inseriva di fatto tra le righe del corpus del compianto Christopher Reeve, rubando apertamente dall’immaginario vintage di quelle pellicole. Zack Snyder (300) e il nuovo Grande Burattinaio di Hollywood, Christopher Nolan, fanno tabula rasa del passato.
E’ un’operazione ancora più estrema del poco convincente reboot ragnesco dell’anno scorso: Nolan non è affatto Marc Webb. Il colossale barocchismo, il crepuscolare realismo, i flashback che spezzano e allungano allo spasimo un elefantiaco ritmo narrativo… prendere o lasciare, la nolanizzazione di Nolan era inevitabile.
Superman perde il ricciolino sulla fronte e i famigerati mutandoni rossi indossati sopra la tuta, e si immerge in un mondo cupo (illuminato da un direttore della fotografia pessimista!), dove non c’è spazio per colorite esclamazioni fumettistiche. Krypton, il pianeta natale dell’eroe, è asettico e atarassico solo nei valori, ma visivamente esprime un passionale trionfo rococò. Superman, allevato nella pacifica solidità rurale del Midwest, è costretto alle scazzottate galattiche per salvare il pianeta che lo ha naturalizzato. Contraddizioni, il sale del tormento psicologico.
Come far identificare altrimenti lo spettatore con un semidio che abbatte le montagne con un pugno? Difficile, ma la Grande S (lettera che a proposito, nerd fact, è un geroglifico alieno che significa “speranza”) è l’Immigrato per eccellenza. Così come i giovanotti ebrei di Cleveland che crearono l’eroe settantacinque anni fa si sentirono spaesati nel conciliare la loro “aliena” eredità mitteleuropea con la rampante nazione a stelle e strisce che li aveva accolti.
Per non parlare poi dei riferimenti, difficili da ignorare e sui quali sarebbe troppo lungo soffermarsi, all’altro grande inviato celeste della storia umana…
A detta di Nolan, L’Uomo d’Acciaio è stato concepito in una pausa della lavorazione de Il Cavaliere Oscuro: Il ritorno: e questo è il suo più grande pregio e difetto insieme, come già ne Lo Hobbit rispetto a Il Signore degli Anelli. Da una parte continua un franchise artistico-commerciale esteticamente valido e apprezzato dal pubblico, un “marchio di qualità” nolaniano bramato da molti; dall’altra però viene da chiedersi se l’immaginario si possa sclerotizzare così, percorrendo sempre strade già battute per evitare di deragliare al box office. Il dibattito è lecito, e aperto.
VOTO: 3,5/5
Articolo del
31/07/2013 -
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